Questa mia riflessione nasce dall’esperienza vissuta in Nuova Avvocatura Democratica, di lotta per una nuova previdenza forense e mira ad esprimersi con un taglio poco consueto nel linguaggio stantio e spesso ipocrita della politica forense. Nuova Avvocatura Democratica incarna l’attuale scontro fra una visione conservatrice dello stato attuale, perpetuata ad uso e consumo di coloro che rivestono posizioni apicali nelle istituzioni forensi, concentrati nella difesa di rendite di posizione del tutto personali ed una fascia sempre più larga di colleghe e colleghi per i quali i conti non tornano più, ormai da troppo tempo.
Una delle cause a monte di detta difficoltà, è l’attuale assetto previdenziale riguardante la categoria. La previdenza, che dovrebbe supportare ed aiutare nei momenti di criticità della carriera e nel momento della riduzione delle capacità produttive conseguente alla senescenza, sta sempre di più divenendo una zavorra insostenibile, gravante sulle spalle già fiaccate di un’avvocatura all’affannosa ricerca di nuovi equilibri nella modalità di esercizio del ruolo e nuovi spazi di mercato che ridiano opportunità di futuro.
La gestione del problema previdenziale, in questi ultimi anni, è stata in larga parte nelle mani delle istituzioni forensi in conseguenza dell’autodichia caratterizzante Cassa Forense. Il cambio di passo decisivo è stato dettato senz’altro dall’introduzione dell’art. 21 della legge professionale. Con l’applicazione dell’obbligo indiscriminato, posto a carico di tutti gli avvocati, di iscrizione a Cassa Forense, una larga fascia di colleghe e colleghi, quasi sempre ad inizio carriera e quindi in una fase di produzione del reddito in fase di decollo, si è vista piombare addosso una contribuzione previdenziale che ha impattato in maniera devastante sui bilanci individuali degli avvocati.
Il Comitato dei Delegati esercita l’autodichia nella modalità più impattante possibile bei confronti degli iscritti, allestendo un sistema che si rileva poco sostenibile per una larga fascia di avvocati con delibera datata 21 luglio 2017.
Notorio è il fenomeno delle cancellazioni dall’albo motivate proprio dall’impossibilità di stare al passo con gli oneri previdenziali, 4000 circa solo nel 2016.
Non un esame d’accesso gestito con attenzione all’effettiva sussistenza dei meriti. Non un’azione tesa a rivedere i percorsi universitari. Una selezione basata principalmente favorendo chi ha condizioni di partenza migliori per censo e posizione sociale. Questa la risposta, del tutto insoddisfacente, proveniente dalle istituzioni che dovrebbero curare i nostri interessi.
A detta criticità, va ad aggiungersi l’ulteriore ed annosa problematica della gestione separata Inps che, spinta da un’ormai atavica fame di liquidità tipica di tutte le gestioni previdenziali, si è catapultata sulle migliaia di colleghi in relazione ai periodi di esercizio dell’attività effettuati da non iscritti a Cassa Forense. Un salto dalla padella di Cassa alla brace di Inps, gestione che, ad oggi, è ben più gravosa per i produttori di reddito rispetto a quella pur pesante di Cassa Forense, scontando un’aliquota del 25,72% al cospetto del 18,5% di Cassa Forense.
La vicenda gestione separata è stata affrontata come al solito dalle istituzioni forensi: in maniera inadeguata. Ma forse nel caso gestione separata v’è stato di più: un lasciar compiere un disegno finalizzato, come detto, ad una selezione censitaria dei componenti la categoria.
Testimonianza ne sia la mozione 64 presentata al Congresso di Rimini dai colleghi di “Avvocati Ora” di Bari, presentatore il collega, amico ed ora consigliere del Coa di Bari, Nicola Zanni, supportata dai delegati Giuseppe Scarpa, Salvatore Lucignano e Federica Mariottino di Napoli. La mozione sollecitava le istituzioni forensi ad un supporto concreto a favore dei colleghi colpiti dall’operazione: ”Poseidone”, nome in codice dell’azione portata avanti dall’Inps al fine di addebitare a migliaia di colleghi gli oneri di gestione separata.
Anche quella mozione, come tutte quelle che tentavano di parlare dei problemi reali degli avvocati, fu oggetto di una vergognosa censura calata dall’alto da chi si accingeva a costruire OCF (gli stessi che oggi dichiarano vicinanza a questi colleghi), organismo afono e sostanzialmente prono ai desiderata dell’area ordinistica, per larghissima parte protesa alla conservazione dello status quo, produttivo tutt’ora di cospicue rendite di posizione per i maggiorenti istituzionali e tendenzialmente insensibile ed indifferente rispetto alle problematiche reali della categoria.
Gli ordini dovevano mettere la museruola alle associazioni. Questo era l’obiettivo da conseguire a Rimini. Tutto il resto poteva attendere, anche i colleghi alle prese con l’operazione “Poseidone” i quali, come al solito, furono costretti a fare da sé. Qualche associazione “maggiormente rappresentativa”, nella difesa dello status quo, si affannava a sottolineare che gli avvocati vivevano (per costoro ancora vivono) nel migliore dei mondi possibili. Alla luce dell’analisi di tali fatti storici, appare del tutto tardivo e per nulla credibile il tentativo di OCF, in proprio e quale successore di OUA, in ritardo di ben sei anni rispetto all’insorgere della problematica e scollegato da qualsiasi atto concreto, di apparire vicino alle istanze ed alle problematiche dei colleghi colpiti dall’operazione “Poseidone”. Spontaneismo individuale, qualche Coa, qualche associazione in ordine sparso e ben poco altro muoveva contro quella che appariva un’operazione del tutto iniqua ed illegittima a carico dei colleghi che ne erano (ed in parte ne sono ancora) bersaglio. Come al solito, nulla del fronte politico compatto che sarebbe servito a fare da scudo ai colleghi bersaglio dell’operazione.
Oggi OCF tenta di redimersi da una colpevole inerzia pluriennale con un deliberato che sostanzialmente ricopia la mozione 64 presentata da “Avvocati Ora” ad ottobre 2016 al Congresso/scempio di Rimini. Gli stessi che hanno consentito di stroncare qualsiasi possibilità di dibattito, gli stessi che hanno bocciato la mozione 64 relativa all’aiuto da conferire ai colleghi vittima dell’operazione Poseidone, oggi la ricopiano tentando di accreditarsi al cospetto degli avvocati italiani. Attesa l’assenza di qualsivoglia atto concreto in termini di aiuto prestato a chi fronteggia l’assalto dell’Inps, l’assoluta tardività dell’iniziativa e la fattiva indifferenza omissiva di OCF, l’iniziativa ha tutti i connotati della non credibilità.
Forse l’imminenza delle elezioni per il Comitato dei Delegati di Cassa Forense ha suggerito a qualcuno di dichiarare vicinanza ad istanze mai curate né coltivate in passato?
Gli avvocati italiani sono stufi di vuoti proclami. Gli avvocati italiani sapranno distinguere tra chi ha lottato e sta lottando per un sistema previdenziale equo ed inclusivo e quello attuale, funzionale solo a supportare quello che è un comitato d’affari per larga parte teso a supportare il perpetrarsi di un sistema che opera contro l’avvocatura giovane ed in rosa, fattivamente dedito ad una selezione per nulla meritocratica, basata esclusivamente su logiche di appartenenza clanale, censitaria e clientelare.
Nuova avvocatura democratica ritiene che la politica non possa essere il regno dei vuoti proclami o della mera analisi dell’esistente. La politica, per definirsi buona, ha il dovere di immaginare assetti alternativi che superino le criticità di un dato status quo.
In tale ottica, in relazione alla problematica gestione separata, occorre pensare, ad esempio, ad una modulazione straordinaria dell’istituto dell’”iscrizione retroattiva”, al fine di renderlo strumento disponibile per i colleghi che vogliano sottrarsi alle mire di Inps in maniera definitiva ed irretrattabile, allargandone le maglie di fruibilità.
Ulteriore strumento che andrebbe modulato “ad hoc” è il riscatto, pensando ad una formula ad hoc per chi abbia già utilizzato lo strumento dell’iscrizione retroattiva (come ben noto utilizzabile solo al momento dell’iscrizione), allargando anche in questo caso le maglie di fruibilità dell’istituto, “sartorializzandone” la morfologia per sottrarre dall’attacco di Inps i colleghi colpiti dal “tridente di Poseidone”.
Detta operazione dovrebbe essere accompagnata da una serrata operazione di lobbying politico finalizzata a “coprire” il salvataggio dei colleghi, pretendendo garanzie che impediscano turbative di carattere normativo o amministrativo all’operazione di copertura.
Si ragiona oggi di un qualcosa che doveva essere pensato ed “agito” all’esito del Congresso di Bari del 2012, quando si sapeva che si sarebbe creato il problema gestione separata. La nostra rappresentanza, tanto per cambiare, è in ritardo di 6 anni e sono ben lontani dal sussistere atti circostanziati e concreti per affrontare in maniera efficiente il problema.
In relazione alla gestione di Cassa ed alla configurazione della contribuzione, nuova avvocatura democratica si batte dalla sua nascita per introdurre nel sistema principi di trasparenza, sostenibilità e proporzionalità della contribuzione previdenziale.
Al Congresso di Rimini le mozioni proposte da Nuova Avvocatura Democratica, tendenti ad introdurre questi principi nel sistema, vengono dichiarate inammissibili, come tutte quelle non funzionali agli interessi delle istituzioni forensi apicali. Chi governava il congresso doveva ucciderlo. E così fu.
Ad oggi, alcun atto concreto è stato posto in essere da Cassa Forense nella direzione suggerita all’esito della vertenza le cui rivendicazioni venivano portate all’istituto di Via Visconti il 21 aprile, fatta eccezione per la sospensione del tetto minimo del contributo integrativo, misura tra l’altro al vaglio dei ministeri vigilanti.
Queste le istanze formulate il 21 aprile 2017:
1. NO TAXATION WITHOUT REPRESENTATION.
Estensione dell’elettorato attivo e passivo a tutti gli iscritti all’albo, per l’elezione dei delegati alla Cassa Forense. Fra gli avvocati si discute di una questione risolta a fine 1700 in Nord America. Lo slogan “No Taxation without Representation” fu utilizzato nel 1775 dalla Virginia per sancire l’illegittimità delle tasse nelle situazioni in cui era assente la rappresentanza parlamentare dei cittadini. Tra i coloni americani non era diffuso il sentimento indipendentista, pochi volevano rompere definitivamente i rapporti con la Corona inglese. Le loro richieste erano limitate ad ottenere una maggiore autonomia e una maggiore rappresentanza all’interno del vasto impero inglese. La risposta inglese fu perentoria e irremovibile: nel Parlamento inglese erano già rappresentati tutti i soggetti dell’impero inglese, mentre le assemblee locali non avevano alcun potere legislativo o esecutivo di pari importanza a quello centrale. La scarsa apertura inglese contribuì a rafforzare tra i coloni le posizioni più estreme a favore dell’indipendenza americana. Vico e Polibio avevano proprio ragione…la storia ha i suoi corsi e (mai termine è più azzeccato parlando di avvocati) ricorsi… Ancora oggi l’avvocato se non raggiunge i 5 anni di iscrizione a Cassa non è eleggibile nel comitato dei delegati…ma per i primi cinque anni pagherà comunque una contribuzione. Situazione contraria ad ogni più elementare diritto politico di base.
2. MASSIMA TRASPARENZA, OLTRE LA LEGGE.
Pubblicazione dei verbali delle riunioni dei delegati, delle delibere, dei risultati delle votazioni all’interno del Comitato dei Delegati della Cassa Forense. Detta misura appare necessaria al fine di rendere massimamente intellegibile al corpo elettorale degli avvocati l’operato dei suoi rappresentanti. In passato abbiamo assistito a casi penosi di delegati e componenti del Consiglio di amministrazione di Cassa che predicavano nei distretti dei principi per poi votare all’opposto a Via Visconti. Questa vergogna deve finire. Gli avvocati hanno il diritto di valutare i propri rappresentanti in relazione al loro operato effettivo secondo criteri di massima trasparenza.
3. ISTITUZIONI ESEMPLARI, PER RIDARE AUTOREVOLEZZA.
Approvazione di una delibera che riporti le indennità ed i gettoni previsti dalla Cassa Forense per i delegati al livello precedente all’ultimo aumento, deciso a dicembre 2016.
4. UN DIVERSO SISTEMA PREVIDENZIALE E’ POSSIBILE.
Creazione di una commissione di studio interna a Cassa Forense, per l’analisi di un diverso sistema previdenziale, basato su:
4.1. progressività e proporzionalità della contribuzione con abolizione delle soglie minime insensibili al reddito effettivo;
4.2. revisione dei privilegi abusati dalle generazioni precedenti, oggi chiamati erroneamente diritti quesiti. Un sistema che rinunci al suo gigantismo, che faccia del minimalismo e del ritorno al fine che deve caratterizzare ogni sistema previdenziale serio le sue parole d’ordine: erogare le migliori prestazioni possibili al minor costo possibile.
A questo si aggiunga l’esigenza di porre fine al dumping previdenziale portato dai pensionati esercenti l’attività, incongruenza da superare introducendo incompatibilità generalizzata fra trattamento pensionistico ed esercizio dell’attività o quanto meno applicando una contribuzione di solidarietà supplementare ad hoc a carico di chi si avvale della facoltà di continuare ad esercitare godendo del trattamento pensionistico.
Intanto, mentre si celebrano esternamente le meraviglie del “welfare attivo”, da una attenta lettura del bilancio si scopre che a consuntivo per il 2016 Cassa ha chiuso con un rendimento sul patrimonio peggiore del 3% rispetto al “benchmark” di riferimento. Forse detta prestazione poco brillante è anche frutto di una propensione probabilmente eccessiva verso investimenti nel mercato interno, propensione che ha limitato la possibilità di cogliere le occasioni date dal mercato nella sua globalità. Concentrazione sul mercato interno che, tra l’altro, non ha restituito alla categoria alcun vantaggio strategico in termini di maggiore peso nella fisiologica dialettica con la politica per tutto quanto concerne la tutela delle posizioni e degli interessi generali di categoria.
Inoltre, sempre per il 2016, v’è da segnalare un avanzo record di 1.011.194.268,32. Riteniamo che da questo colossale surplus debba essere utilizzato per inaugurare una stagione di incisiva decontribuzione, che possa ricadere quale beneficio per l’intera comunità degli avvocati italiani.
Una delle misure, inoltre, da adottare per attuare un effettivo supporto alla famiglia sarebbe la rimodulazione dell’indennità di maternità, rendendola accessibile anche ai padri avvocato monoreddito. Questa sarebbe una misura concreta di welfare attivo, altro che il milione di euro erogati nel 2017 ed i cinquecentomila nel 2018 a cpo, coa ed alle associazioni di “amici degli amici” maggiormente rappresentative (maggiore rappresentatività decisa dal CNF), dichiaratamente per “lo sviluppo economico dell’avvocatura” ma, di fatto, per cristallizzare una filiera di generazione e conservazione del consenso figlia essenzialmente di logiche di scambio clientelari, secondo l’antico schema, perpetrato con scelte legalmente lecite, ma politicamente esecrabili, del “soldi in cambio di voti”. Ulteriore esempio ne sono i cinquecentomila euro erogati ai soliti noti (Coa, Cpo, Associazioni maggiormente rappresentative di una quiescenza assoluta al CNF) per l’organizzazione di corsi di formazione.
A settembre la maggiore responsabilità ricadrà sulle spalle di tutte le colleghe e colleghi che non partecipano a questo scambio. C’è da scegliere se lasciar correre e continuare a subire o liberarci da un sistema insostenibile e liberticida. Spezzeremo le catene che ci avvincono? Nuova avvocatura democratica ci crede. Invitiamo tutti gli avvocati italiani a crederci.
#nonabbiamoalternative
Avv. Giuseppe Fera