Giornate di intenso lavoro, come sempre per chi ami lavorare. In queste ore l’avvocatura italiana si impegna a discutere di imparzialità e di politica, di rapporto tra deontologia e istituzioni forensi. NAD è impegnata nelle proprie battaglie associative, come sempre, ma a distanza di giorni da un episodio abbastanza indicativo del clima surreale che viviamo all’interno dell’Ordine Forense, ho deciso di utilizzare il sito di Nuova Avvocatura Democratica per raccontare una storia. Giorni fa mi trovavo in una città straniera, imputato di diffamazione aggravata a mezzo social nei confronti di un avvocato. In udienza è accaduto qualcosa di surreale. Mentre il mio avvocato profferiva la sua arringa, dopo aver ascoltato in religioso silenzio il lavoro dell’avvocato della querelante, detta querelante, a pochi passi dal mio avvocato, profferiva insulti a mezza bocca, o meglio, a 3/4 di bocca, nei suoi confronti e nei confronti di un generico ed imprecisato numero di “cattivi”.
“Siete uomini di m…@@@”, è stato il decoroso elogio promosso dalla dolcissima querelante. A tal punto, il mio avvocato, senza batter ciglio, chiedeva con fermezza all’avvocato di ripetere quanto profferito, ottenendo una serie di reazioni da cineteca, un susseguirsi di doppi passi degni del miglior Ronaldo, detto “il fenomeno”, quando ai tempi d’oro disseminava avversari. “No… ma mi stavo riferendo ad altri…”,”ma questo è pazzo”, insomma, un delirio.
Il mio avvocato a quel punto richiedeva al GIP di verbalizzare gli insulti della dolce querelante, ma il GIP, in un afflato di umana pietas, dopo aver spiegato alla querelante (che fa l’avvocato, si badi), che il suo comportamento era contrario ad ogni rispetto della sua persona, e che la stava esponendo al pubblico ludibrio, in ragione del fatto che nessun normodotato che faccia l’avvocato si sognerebbe di insultare un avvocato in udienza, in un processo in cui ha querelato un avvocato per diffamazione, si risolveva a chiedere di soprassedere nella verbalizzazione delle offese, udite benissimo in aula.
A tale pietosa richiesta il mio avvocato (che è un avvocato), aderiva senza indugi, dimostrando, per l’ennesima volta, che ci sono avvocati ed avvocati.
Orbene, come direbbe il mitico Don Alfio, perché il vostro affezionatissimo segretario mondiale dell’avvocatura vi racconta questa “parabola”? (Ibidem). Non certo per precostituirsi una postuma azione nei confronti della querelante improvvida, ma per far comprendere a tanti colleghi che oggi, all’interno dell’avvocatura italiana, noi avvocati viviamo il paradosso dei moralisti immorali, degli indecorosi che praticano decoro, dei diffamanti che accusano di diffamazione e dei presunti diffamati che diffamano. Viviamo in un vortice di arbitrio e di ipocrisia, in cui il ruolo di vittima o di carnefice è sostenuto e rappresentato secondo i propri comodi, senza che si cerchi di andare veramente a fondo alle questioni, senza che si analizzi il rapporto tra decoro, comunicazione, contemporaneità.
Orbene, se il mio avvocato fosse stato la querelante, oggi detta querelante si ritroverebbe querelata. Se io fossi stato la querelante, oggi la querelante si sarebbe già ritrovata querelata. Il punto è che la superiorità si mostra e si dimostra, con gesti di magnanimità, che dettino sempre il discrimine tra l’onore e il disonore.
Penitenziagite. Downshifting is the way.
Avv. Salvatore Lucignano