IL BISOGNO E LA LIBERTA’

4 Marzo, 2018 | Autore : |

 

Attraverso l’indagine sui bisogni di una categoria professionale è possibile comprenderne le aspirazioni e le possibilità. In NAD cominciamo a discutere di un problema di inferenza, che attiene sia alla logica, sia all’agire politico sottesi agli scopi associativi: ci chiediamo cioè se la macchina che stiamo cercando di costruire sia idonea al perseguimento degli obiettivi che ci siamo posti come fine ultimo della militanza e del progetto. La riflessione si impone, nel momento in cui ragioniamo del socio che vogliamo, dell’avvocato che vogliamo rappresentare, di quello di cui vogliamo ottenere il consenso. E’ sorprendente constatare quanto la pochezza del linguaggio e dell’idealità espressa dall’avvocatura di massa venga individuata come una delle cause della sua impotenza, sul piano dell’agibilità politica. Eppure la capacità di trasmettere pensieri complessi, sia a livello emozionale, che sul piano strettamente logico, dovrebbe essere una delle dimostrazioni immediate della superiorità intellettuale del giurista, in grado di portarlo a riflettere su un piano più elevato di quello collegato ai bisogni primari.

 

La rivendicazione di un’attività politica eleva NAD al di sopra della mentalità che collega i rappresentanti dell’avvocatura a forme di negazione della collettività. Il superamento dell’io, in funzione di un noi, fatto di pensieri sociali e non di proiezioni individuali, è la base fondamentale per poter superare le dinamiche clientelari che dominano lo scenario nella politica forense italiana. La costruzione di identità politiche passa però necessariamente dal riconoscimento delle manifestazioni logiche di cui la politica si nutre, in primo luogo il pensiero ed il linguaggio.

Quando un avvocato accetta di rappresentare interessi di altri avvocati, esercita un’attività politica. Perché ciò porti ad un avanzamento delle strutture capaci di tradurre in azione concreta i bisogni migliori dell’avvocatura, occorre che la politica sia orientata. Ciò significa che non tutti i bisogni meritano la stessa valutazione, sul piano etico e politico. Occorre dunque utilizzare criteri che consentano di separare i significati dei concetti, attribuendo alle parole un campo di inferenza limitato e codificato. La confusione del linguaggio politico forense, la sua incapacità di cogliere concetti in modo chiaro e logicamente coerente, è una delle principali cause del caos improduttivo che anima l’attività politica di gran parte degli avvocati italiani. All’interno dell’avvocatura tutto è vago, le definizioni, i presupposti, i limiti, risentono di un utilizzo distorto della logica, dovuto sostanzialmente ad una formazione avvocatesca di coloro che fanno politica, ed allo stesso tempo, ad una spaventosa carenza di nozioni logiche, figlia di ignoranza e studi mai affrontati dalla stragrande maggioranza degli avvocati.

La logica che accompagna l’avvocato, quasi sempre è di natura sofistica, o eristica. Allo stesso tempo, l’avvocato non politicizzato nega l’evidenza, disconosce il valore politico del voto che concede, esclude di indagare le ragioni che lo portano a sostenere amici e benefattori, in una logica di mero scambio, ignorando totalmente la dimensione normativa e sistemica correlata all’attività degli eletti. Il favore, la chiavetta, il pacco di pasta, la scarpa destra, l’armadietto… ecc. ecc.

 

 

L’errore logico a questo punto può diventare il postulato che il voto esprima il giusto, la consapevole confusione tra realtà e bellezza, il disconoscimento della verità per cui non sempre ciò che si impone è il bene. La democrazia della distanza ha santificato il voto come momento di espressione del bene sociale, solo perché non siamo stati capaci di evolverci verso indagini meno buoniste, né siamo in grado di orientarci verso sistemi alternativi. La misurazione della partecipazione, della scelta, della consapevolezza, esprime nel voto un momento che incarna e condensa tutto ciò che dovrebbe essere idealmente connesso all’idea di bene comune. Ciò in realtà è una forma distorta di volontà, una rappresentazione che serve ad imbonire le masse, ma non fotografa affatto la verità.

 

 

NAD sfugge a questi paradossi, impegnandosi a costruire buona politica. Il consenso per NAD non è una ricerca acritica, né mira a raccogliere soggetti che guardino alla politica forense come ad uno strumento di soddisfazione di bisogni primari. Le scelte, in questo caso, le facciamo noi, imponendo all’avvocato elettore un livello di consapevolezza e partecipazione alta, che gli renda difficile identificarsi con NAD in base a pulsioni egoistiche e ancestrali. I messaggi che lanciamo riguardano il superamento dell’io, la costruzione del noi, l’agire politico volto al dovere, al dovere di testimoniare. I nostri atti, i nostri scritti, le azioni, le lotte, non devono essere visti come la risposta contingente all’oggi, ma come un elemento che possa fungere da lascito, per altre epoche ed altre lotte. Il rifiuto della dimensione ideale della politica, che oggi trionfa in un’avvocatura bestiale, incolta, indegna, va contrastato con forza. Ridare dignità all’avvocatura vuol dire insegnare agli avvocati italiani il senso di un agire più alto, che voglia farsi esempio e non miri alla soddisfazione della pancia. Senza questa consapevolezza, senza il superamento dell’io, come fine ultimo e primario del nostro impegno, ogni speranza di costruire un movimento nobile si infrangerà contro le ignobili prassi della realtà presente.

In ogni uomo è solo la dimensione ideale collettiva, che vada oltre l’oggi ed oltre l’io, a rendere nobile l’impegno o il successo politico. Vincere di per sé non conta, contano piuttosto le ragioni per cui si voglia vincere.

 

Avv. Salvatore Lucignano

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