Qualche tempo fa cominciai a tenere una rubrica, ospitata dal noto portale giuridico “Laleggepertutti” (che ancora ringrazio) per l’opportunità, che si intitolava proprio così: “l’avvocato futuro in soffitta”. L’idea era di rappresentare l’accantonamento, in un posto quasi dimenticato, di una dimensione che invece dovrebbe essere ineliminabile per il nostro immaginario di giuristi: il futuro dell’avvocatura. La mia rubrica è durata poco, sono stato assorbito dalla politica forense e dal progetto NAD e più in generale cerco di evitare commistioni tra il mio ruolo di politico forense, impegnato e partigiano, e quello dell’osservatore disinteressato dei fatti che riguardano la professione forense. La mia attenzione però non si è staccata dalle vicende che stanno irrompendo sul mercato delle prestazioni legali, italiane ed internazionali e che vedono nello sviluppo delle intelligenze artificiali uno dei fattori che inciderà maggiormente nelle modalità operative dell’avvocato del prossimo futuro.
Questi temi dovrebbero essere la base di una riqualificazione della professione. Trattare e pensare al futuro, distaccarsi dal contingente, impedire che gli interessi utilitaristici immediati fagocitino l’intera attenzione della classe forense, contribuirebbe a creare uno sviluppo positivo della politica forense tra gli avvocati italiani, superando il disinteresse, gli egoismi, concezioni amicali e relazionali della rappresentanza. Il compito di dare spazio a queste tematiche spetterebbe ovviamente alle istituzioni forensi, ma qui ci si imbatte nel famoso cane che si morde la coda. Un sistema istituzionale e politico asfittico, corrotto, incapace di costruire sintesi di alto livello, non riesce a porsi alla testa di movimenti di avanguardia credibili. I rappresentanti forensi che si occupano di questi temi sono pochissimi, mentre i colleghi che si avvicinano all’esperienza fattiva e al contatto con le prime macchine pensanti, lo fanno in un’ottica di sviluppo professionale, che non c’entra nulla con la buona politica.
Eppure i temi della concorrenza delle macchine, della disumanizzazione del diritto, di una società in cui i robot divengano autonomi soggetti giuridici, capaci di agire in modo del tutto indistinguibile dagli uomini, non sono ormai confinabili nella soffitta del disinteresse, ma dovrebbero essere oggetto di studi, analisi, dibattiti e soprattutto, trovare ingresso nelle norme che riguardano lo svolgimento della professione forense. I robot infatti non mangiano, non dormono, non devono preoccuparsi della formazione obbligatoria, non versano i contributi alla Cassa Forense, m sono in grado, grazie alle funzioni del deep learning, di imparare, elaborare, correlare, una mole di dati, nozioni ed interpretazioni, tali da porli, già oggi, su un livello difficilmente comparabile con la mente umana. I robot, in altri termini, sono umani dotati di capacità di elaborazione infinitamente superiori all’umano, nell’ambito dell’esercizio di funzioni cognitive prive di empatia e connessioni emotive. Il robot pensa più in fretta e può confrontare più dati in tempi enormemente inferiori all’umano, può esprimere prodotti non immediatamente distinguibili da quelli umani, ma manca di una caratteristica indispensabile ad una società che voglia dirsi umana: l’umanità, appunto.
Cosa fanno gli avvocati per governare il fenomeno legato all’ingresso della robotica nella nostra professione? Attualmente niente. Assente dai temi del confronto concesso dalle istituzioni apicali, schiacciata dalla crociata per la costituzionalizzazione della funzione difensiva, pur giusta e condivisibile, nel merito, al di là della legittimità degli interlocutori politici che attualmente la stanno promuovendo, l’interazione della robotica con la professione forense è totalmente assente dalla nostra legge professionale, la famigerata (e mai abbastanza vituperata) 247/2012. Nessuno si pone il problema di inserire nella nostra legge delle specifiche previsioni, che possano impedire un ingresso selvaggio ed indiscriminato dei robot in un campo fino ad oggi appannaggio dei soli umani. Nessuno sembra valutare gli effetti, potenzialmente dirompenti e distruttivi, che l’utilizzo massiccio dei robot nel campo della fornitura di prestazioni legali, al posto degli umani, potrebbe avere sui redditi dell’avvocatura di massa italiana, già impoverita dall’abnorme numero di professionisti iscritti all’albo e dai fenomeni di regressione dello Stato dalla bulimia giudiziaria e processuale.
Siamo in presenza della solita miopia e NAD dovrà combattere questo atteggiamento con coraggiosi atti di sfida e proposte puntuali, concrete, che mostrino ai colleghi la differenza tra chi ambisce a fare politica forense in modo alto, e chi interpreta il ruolo di rappresentante degli avvocati come una risposta veloce e drogata a istanze immediate, che non guardino più in là del proprio naso.
Avv. Salvatore Lucignano