Il sistema previdenziale forense vive, come quello generalista, le tensioni conseguenti alla grave contrazione della redditività del lavoro e ad una prospettiva di squilibrio demografico sempre più evidente. Le migliaia di cancellazioni “per inedia reddituale” sono una grave mina per la sostenibilità di lungo periodo. L’attuale contribuzione, caratterizzata da minimi inderogabili, diviene concausa della spirale recessiva nella quale è piombata da anni la categoria, arrivando in alcuni casi a sottrarre agli avvocati quote di reddito a livelli intollerabili. Il cosiddetto: ”Welfare attivo”, continua ad atteggiarsi come strumento di gestione e mantenimento del potere clientelare e di consenso del ceto attualmente alla guida dell’istituto di Via Visconti.
Basti guardare alla misura, ridotta in termini di montante allocato (anche per l’aspra battaglia condotta da NAD sul punto) ma incredibilmente reiterata (da un milione di euro a cinquecentomila) di finanziamento di progetti: ”Per lo sviluppo economico dell’avvocatura”, che coprirà d’oro i soliti noti, saldamente e docilmente schierati a supporto dell’attuale filiera di potere istituzionale. E non potrebbe essere altrimenti, vista la delimitazione delle organizzazioni che possono presentare progetti a CCOOAA, CCPPOO ed associazioni riconosciute. E chi ha il potere di riconoscere le associazioni? Il CNF. Ed il cerchio si chiude.
Detto approccio è collocato agli antipodi rispetto a quello che dovrebbe caratterizzare una sana ridefinizione del sistema, che lo renda sostenibile e dunque credibile sul lungo periodo. Occorre puntare ad una previdenza di primo pilastro minimalista la quale, in quanto tale, impatti il minimo possibile sui redditi correnti degli avvocati. Detto obiettivo potrebbe essere conseguito applicando il contributivo a tutti i curricula previdenziali in corso, opzione che consentirebbe un’immediata e massiva riduzione della contribuzione in capo ad ogni iscritto. Detta opzione viene paternalisticamente “sconsigliata” dal timoniere per i suoi effetti di riduzione dei trattamenti futuri, chimere legate alla sopportazione di pesi ormai insostenibili per una larga fascia di avvocatesse ed avvocati.
Ciò è comprensibile, poiché il primo effetto indesiderato per il manovratore sarebbe una riduzione improvvisa e drastica della liquidità disponibile “oggi”, con conseguente riduzione di margine d’azione in termini di risorse allocabili per welfare clientelare e sostegno di prestazioni correnti – regalo, pagate da noi tutti attivi sul mercato del lavoro, perpetrando una catena odiosa nella quale i padri sottraggono risorse ai figli. In realtà, detta misura chiuderebbe definitivamente il libro dei sogni squadernatoci oggi davanti e realisticamente ci consegnerebbe un sistema snello, minimalista, che darebbe agli avvocati la disponibilità di un delta di liquidità da gestire per superare la crisi corrente ed impiegare in scelte di previdenza dettate dall’autodeterminazione che ogni professionista sarà in grado di manifestare, attraverso azioni libere ed adeguate al fine di garantirsi un periodo di quiescenza post lavorativa libero dall’indigenza.
Nel dibattito su questi temi, il lato tragicomico della vicenda è l’atteggiamento disinteressato di coloro che, ritenendo di viaggiare “in prima classe”, presumono di essere non interessati al problema della sostenibilità complessiva. A questi colleghi vorrei dire: non si è mai visto un naufragio dove cola giù solo la terza classe di un’imbarcazione. Le barche, quando affondano, affondano per intero. O volete continuare ad ascoltare l’orchestrina? Conosciamo tutti il “nickname” del Titanic. “The Unsinkable”. L’inaffondabile. Sappiamo tutti come andò a finire…
Avv. Giuseppe Fera – Tesoriere nazionale NAD