Il Congresso Nazionale Forense è stato totalmente esautorato di ogni potere o funzione. L’assise che si terrà a Catania, nell’ottobre del 2018, non affronterà nessun conflitto interno all’avvocatura, non ci sarà alcuna dialettica, tutto si svolgerà secondo i copioni tristi e triti che abbiamo già vissuto negli ultimi anni: fiumi di retorica, vestiti della festa e buffet, parole vuote e valori aulici declamati con verbosa ed avvocatesca eloquenza.
Il concetto di “congresso” ha fallito la sua missione. Anche a livello normativo, l’avvocatura non può più consentirsi che la parola “congresso” sia umiliata e tradita dalla sua concreta applicazione. Abbiamo bisogno di un PARLAMENTO degli avvocati, non più di un Congresso. Il Congresso permanente tratteggiato dallo statuto approvato a Rimini 2016 è stato sconfessato senza che gli autori di tale statuto facessero nulla per nascondere la loro bugia. I delegati congressuali non sono stati mai riuniti – previsione fin troppo facile da indovinare per noi oppositori – all’indomani dell’assise riminese. Né si può ritenere che le riunioni delle delegazioni distrettuali, laddove avvengano, possano integrare la convocazione del Congresso, facendo venir meno quel confronto tra tutti i delegati che dovrebbe essere il sale della legittima formazione di una volontà congressuale.
L’art. 39 della legge professionale forense ha miseramente fallito il suo compito, scavalcato dalle disposizioni della stessa legge che fanno del Consiglio Nazionale Forense il signore assoluto della politica forense italiana, ma allo stesso tempo reso inutile dalla sua formulazione, sciatta e vaga, che non fa del Congresso il luogo in cui, attraverso il costante confronto e la dialettica democratica, si possa formare la volontà politica della classe forense, nel suo insieme.
Le ragioni per cui ciò non avviene sono ben note, nonostante il regime dell’istituzionalizzazione forense faccia di tutto per nasconderle: bulimia dei rappresentanti, numero abnorme dei delegati congressuali, costi e logistica insostenibili per un organismo permanente che racchiuda centinaia e centinaia di rappresentanti. NAD a Rimini ha proposto un parlamento di 300 avvocati, ma probabilmente, per contemperare l’esigenza di un funzionamento logisticamente ed economicamente sostenibile con la possibilità di un’operatività effettiva, basterebbe un numero di parlamentari dell’avvocatura ancora più ridotto. In fondo la Cassa Forense ha un comitato che attualmente è composto da 80 delegati, mentre il Consiglio Nazionale Forense, a composizione variabile, attualmente non arriva a 40 esponenti. Entrambi questi organi comandano e governano perfettamente, all’interno dei propri ambiti di gestione del potere, senza che alcuno veda nello “scarso” numero dei componenti una lesione della pluralità democratica delle istanze in essi confluite.
Ad oggi la bulimia del Congresso Nazionale Forense, lungi dall’essere funzionale ad una sua effettiva democraticità, è servita solo a paralizzare l’assemblea, impedire che vi fosse un’effettiva ed attuale dialettica interna tra i suoi componenti, far giungere all’approvazione del Congresso provvedimenti preconfezionati, mozioni e documenti elaborati altrove, sconfessando nei fatti la natura democratica e collettiva dell’organismo congressuale.
Questa problematica appare ormai centrale per il possibile sviluppo democratico della categoria: agli avvocati occorre un vero parlamento, aperto, democratico, inclusivo e rappresentativo, che dia mandato ad un governo di categoria di occuparsi della politica forense, delle istanze sindacali sintetizzate dalla classe, di definire il rapporto tra avvocatura e società italiana. La struttura autoritaria ed antidemocratica che attualmente domina la professione forense non può funzionare, né all’interno, né all’esterno dell’avvocatura. Agli avvocati italiani serve un parlamento degli avvocati, che sia organo permanente, che si riunisca con cadenza periodica e ravvicinata, che superi le dimensioni elefantiache dell’attuale Congresso Nazionale Forense, utili solo a renderlo inutile.
Avv. Salvatore Lucignano