Negli ultimi anni mi è spesso capitato di usare immagini paradossali per descrivere le degenerazioni autoritarie che permeano il regime della Cosa Nostra Forense (CNF). Nelle ultime settimane ho avuto modo di stupirmi di come alcune tra queste riflessioni siano riuscite ad anticipare fatti e manovre messe in atto in realtà, con spregio dei limiti del ridicolo, che andrebbero varcati solo quando ci si muove nel campo della fantasia.
Le valutazioni sul linguaggio dell’odio, tanto in voga in questi giorni tra istituzionalizzati dalle menti labili, sono un gigantesco film comico, una strategia di distrazione di massa che lascia perplessi, o al massimo muove al riso.
Si parla di tutto per non parlar d’amore, ovvero… si parla delle parolacce sui social network, tentando di sterilizzare ed addomesticare ogni forma di protesta delle masse, per sfuggire alle ingiustizie ed alle disuguaglianze, sempre più inaccettabili ed ingiustificabili, che sono diventate il tratto distintivo delle società contemporanee.
Così, in questa forma di isteria collettiva, legata al bon ton, per linguaggio dell’odio si intende ogni cosa spiaccia al padrone, ogni parola che indichi le pudenda dei Re nudi, ogni grido che stigmatizza l’illegalità ed il sopruso legalizzato. Tutto ciò è possibile perché gran parte degli avvocati italiani sono a digiuno di storia e non sanno che la violenza e la sopraffazione possono spesso essere legalizzate, organizzate dalle istituzioni, spacciate per normalità.
Si ottiene così il capovolgimento dei fatti, una rappresentazione in cui chiunque osi contestare la versione del potere, è tacciato di attentato alla pubblica quiete.
Il linguaggio dell’odio viene tacitato, sostituito dal linguaggio dell’olio, ovvero da quell’olio di ricino, strisciante e rassicurante, che serve ad impedire ogni forma di scontro, di dialettica, di dissonanza, di indipendenza dal coro belante.
In questo contesto non è affatto un caso che la Cosa Nostra Forense nostrana si sia voluta mettere a capo di un’operazione di normalizzazione del linguaggio non dissimile da quelle che gli Stati nazionali stanno portando avanti in ambito politico generalista. Si vuole a tutti costi impedire all’individuo di esprimere il disagio e la disperazione per condizioni imposte dalle istituzioni, modelli di vita, di sviluppo, di lavoro, che perdono sempre più le connotazioni umanistiche proprie dei regimi liberaldemocratici del novecento, e spostano potere, valore e decisioni in luoghi sempre più distanti dalle basi, dalle masse, che fungono da spettatrici paganti di uno spettacolo imbandito per i pochi che governano gli apparati.
Non è un caso dunque che la Cosa Nostra Forense italiana abbia menato vanto di questa patetica iniziativa, accomunando nel linguaggio dell’odio tutto ciò che non è gradito ad alcuni e lasciando totalmente da parte gli abusi dell’odio, ovvero quegli atti di governo e di imperio, arbitrari ed autoreferenziali, che consentono ai padrini che pasteggiano con il denaro degli avvocati italiani di continuare ad ingrassarsi a spese degli “odiatori”, con tanti saluti alla giustizia, all’equità ed alla decenza.
L’imponderabile ed il grottesco sono dunque diventati realtà reale: il problema dell’avvocatura italiana, secondo la Cupola di padrini che se ne nutrono, non sono i redditi in picchiata, le vessazioni, le infinite decime imposte da un sistema vessatorio e nemico del professionista libero, bensì le parolacce sui social network.
Una sorta di fumetto in toga e tocco, una zona del crepuscolo in cui la ragione, obnubilata e svilita, viene colpita a morte dall’ennesimo falò delle vacuità, messo sù da una pletora di saltimbanchi, più adusi ad organizzare happening che a risolvere i problemi di una categoria massificata, sfinita e sconfitta.
Il linguaggio che dunque si vorrebbe imporre al libero pensatore, all’avvocato e al giureconsulto degli anni duemila, è avulso dallo scontro e dalla rivolta, è prono all’istituzionalizzazione, è scevro da parole, considerate foriere di “odio”, che per secoli hanno campeggiato, intrise di rispetto e devozione, nelle opere letterarie e filosofiche dei più grandi esponenti del pensiero umano.
Lotta, insurrezione, rivolta, combattimento, rivoluzione, resistenza… sono tutti concetti che oggi si vogliono tacciare di illegittimità, mettere al bando, accomunandoli alla violenza cieca della sopraffazione. Siamo di fronte ad uno specchio distorto, ad uno spazio rovesciato, in cui il forte che opprime i deboli tenta di privarli anche della parola e del linguaggio, non volendo tollerare nemmeno questo affronto al proprio strapotere.
L’avvocatura italiana, o meglio, la Cosa Nostra Forense italiana, è alle prese con il linguaggio dell’odio. Si stanno attrezzando perché sia consentito solo il linguaggio dell’olio. Quello dell’olio di ricino.
SUDARIO
Due crediti formativi in storia politica
Avv. Salvatore Lucignano