Il 26 agosto a Las Vegas, Nevada, si è svolto “the money fight”, tra Floyd “Money Mayweather e Conor “The Notorius” McGregor. Si è trattao di un incontro di boxe, combattuto sulla distanza delle 12 riprese, tra uno dei migliori pugili di sempre, lo statunitense Mayweather ed il campione irlandese di MMA (Mixed Martial Arts), McGregor. L’incontro è stato un evento mediatico capace di generare una montagna di denaro, molto del quale è affluito nelle tasche dei due protagonisti, capaci di assicurarsi borse da 100 e 75 milioni di dollari (cifre ufficiose e che non tengono conto di altre forme di introiti), esclusivamente per essere saliti sul ring. Un incontro che ha fatto storcere il naso a molti puristi della “nobile arte”, ritenendo che due espressioni di sport diversi non potessero confrontarsi tra di loro in un match dal significato reale. Moltissimi hanno parlato per settimane di farsa, mettendo in dubbio la stessa volontà dei contendenti di affrontarsi al meglio delle proprie possibilità. I sospetti di un combine sono aleggiati più volte nelle previsioni della stampa di settore e moltissimo si è detto e scritto sui possibili esiti dell’esperimento. Molto altro si potrebbe dire, se prima un lettore mediamente attento non volesse farsi una domanda: “ehi, ma la connessione con gli avvocati, esattamente, quando si vede?”
Eppure la connessione c’è ed è evidente. Due uomini hanno saputo ideare un evento che ha generato una enorrme mole di denaro, distribuendone a loro stessi una quantità tale da consentirgli di non aver più alcun bisogno materiale per il resto della loro vita, pur facendo qualcosa che a molti è apparso spurio ed inaccettabile, farsesco e ridicolo.
Ciò è accaduto perché il valore, nella società contemporanea, non segue né il valore, né i valori, ma la capacità di cogliere i desideri e le tendenze degli individui. Per carità, è sempre stato così, fin da quando l’uomo si è evoluto, lasciando le caverne, ed ha cominciato a ritenere che possedere oggetti belli, tombe sfarzose, dimore lussuose, potesse segnare il discrimine tra il successo ed il fallimento. Oggi però, nella società dell’effimero, alle soglie della civiltà degli avatar, la creazione di valore è diventato un affare tremendamente distante dal valore stesso. Può apparire un gioco di parole, ma se si comprende l’accezione duplice del termine “valore”, si coglie molto bene il senso della frase.
Il valore infatti, è sia ciò che viene ritenuto tale, in ragione di richiami ai valori che ne determinano l’apprezzabilità generalmente riconosciuta, sia ciò che è in grado di farsi pagare, di creare interesse, indipendentemente dalla sua qualità. In questa natura diabolica ed intimamente contraddittoria del valore si deve muovere la ragionevolezza di qualsiasi individuo calato in un contesto sociale. Comprendere le relazioni che ci sono tra valore e valori, capire che si tratta di connessioni funzionali, per loro natura refrattarie ad essere classificate ed in un certo modo instabili, per definzione, è essenziale per poter imbrigliare l’energia del valore, in modo da trasformarla in valore e valori economici.
Come qualsiasi altra forma di energia, il valore e la ricchezza sono in grado di accumularsi in potenza, generando fenomeni di rilascio non dissimili da quelli che in natura accompagnano manifestazioni fisiche delle forze intrinseche nella materia. Gli esiti delle interazioni tra valori in potenza dipendono da leggi e moti, esattamente come quelli che possono essere osservati quando le particelle subatomiche vengono forzate a collidere, negli acceleratori appositamente creati. La liberazione di energia, derivante da queste interazioni, si muove sul piano economico e sociale secondo canoni che non hanno nulla di diverso da quanto accade nella fusione tra due atomi.
La gestione dei processi che creano valore indipendente dal valore è di fondamentale per la comprensione dei valori che devono guidare qualsiasi individuo socializzato.
La comprensione di questi fenomeni è spesso ritenuta distante dal bagaglio culturale necessario di un avvocato, ritenendosi, erroneamente, che si tratti di tematiche estranee allo svoglimento della professione forense. Viceversa, studi seri dei fenomeni di creazione di valore sono fondamentali per guidare l’evoluzione dell’agire individuale e collettivo verso modelli vincenti, redditizi, funzionali e pertanto moralmente sostenibili. La comprensione dei fenomeni che creano valore è dunque alla base delle concezioni idealistiche che devono descrivere l’ambito di attività di qualsiasi operatore economico. La riduzione delle attività antieconomiche, a basso rendimento, la minimizzazione dei costi e dell’energia impiegata per produrre ricchezza, sono tutte attività che dovrebbero costituire la base dell’organizzazione e del sistema valoriale dell’avvocatura contemporanea, in maniera non dissimile da chi sa fare imprenditoria partendo dalle proprie skills.
E’ sempre più evidente dunque, purché lo si analizzi con uno sguardo che non si lasci annebbiare dalla retorica, che la mitologia dell’avvocato che “va in udienza tutte le mattine”, ha avuto il solo effetto, in verità nefasto, sia sotto il profilo umano che politico, di rendere un pletora di individui asserviti ad un falso epos, al racconto, ridicolo ed asfittico, della fatica improduttiva elevata a sinonimo di altezza morale. Volendo esporre il principio in termini di facile consultazione, la mitizzazione della fatica inutile può paragonarsi alla beatificazione di Sisifo. La misura della redditività dei comportamenti assunti dagli avvocati italiani negli ultimi lustri rappresenta uno dei temi più misconosciuti dalla mia categoria professionale. Gli avvocati non si chiedono se la perdita di redditi e valore che negli anni li ha trasformati da categoria ricca e prospera ad accozzaglia di sopravviventi, spesso con redditi da fame, sia frutto di comportamenti individuali o collettivi errati. Essi generalmente preferiscono attribuire le proprie disgrazie al destino, ignorando che un’analisi fatalista, o peggio, inquinata da falsi miti, stucchevoli e perdenti, è parte fondamentale delle cause della nostra decadenza.
La tutela di modelli di business poco redditizi verrebbe ritenuta irragionevole in qualsiasi contesto sociale, umano o animale. Nulla è più patetico che l’esaltazione dell’inefficace, perché tale atteggiamento contrasta con tutti i precetti alla base della vita. Ciò che non funziona viene irrimediabilmente messo da parte, salvo che quella inefficienza generi ricchezza e valore per chi utilizza la disfunzione a proprio vantaggio. Le cosiddette esternalità di sistema, che a loro volta possono essere sfruttate da chi sappia comprenderne la natura, vengono giudicate un fattore di negatività da chiunque compia analisi market oriented. Gli stessi errori forieri di successivi sviluppi positivi riescono a tramutare in valore la propria natura erronea solo quando all’evento negativo si succedano azioni mosse da orientamenti forti alla redditività.
Cosa genera il benessere? Questa dovrebbe essere considerata una delle più nobili domande, ma nei sistemi ammalati di retorica, il cancro dell’autocommiserazione agisce, di concerto con l’incapacità operativa, generando mostri.
L’avvocato non può ignorare il valore delle proprie scelte come motore dell’agire professionale, né può trasformare l’attività politica nel tentativo di sopperire a bisogni primari, di modesta entità, ottenuti in modo diverso dalla valorizzazione del proprio lavoro. Quando ciò avviene, alla corruzione intellettuale, data dal sovvertimento delle spinte alla fatica, si somma la perversione dei sistemi politici, basati su clientelismo e voto di scambio: un fenomeno che all’interno dell’avvocatura italiana rappresenta la più diffusa fonte di procacciamento di consensi, da parte degli esponenti del sistema rappresentativo ordinistico.
Questo articolo eroga automaticamente due crediti in materia gastroeconomica. #moneymaker
Avv. Salvatore Lucignano