L’11 gennaio 2014, nel gruppo facebook “RIFORMA DEGLI AVVOCATI PER GLI AVVOCATI”, pubblicavo il mio primo documento legato all’attività di politica forense intrapresa da qualche mese. Si trattava di una serie di nove proposte per l’autoriforma della professione, brevemente illustrate. Le proposte erano le seguenti:
1. Restrizione dei nuovi accessi alla professione.
2. Riforma dell’esame per l’ammissione alla professione.
3. Riforma del sistema previdenziale forense.
4. Irrilevanza della condizione reddituale per lo svolgimento della professione.
5. Riconoscimento della funzione sociale svolta dal libero professionista.
6. abolizione di ogni forma di mediazione e conciliazione e valorizzazione dell’avvocato quale operatore di mediazione.
7. Riforma delle tariffe forensi con specifico riconoscimento della mediazione quale attività da remunerare.
8. Obbligo della liquidazione delle spese del procedimento secondo il principio della soccombenza.
9. Riforma del meccanismo dell’aggiornamento professionale obbligatorio.
Guardandomi indietro, pur dovendo riconoscere che il lavoro appare legato per certi aspetti al contingente ed è sicuramente migliorabile, non riesco a non riconoscere in questi punti lo scheletro di una riforma centrata sui veri bisogni dell’avvocatura e degli avvocati italiani. Ci sarebbero molti aspetti di cui potrei discutere in questo articolo, anche in relazione agli sviluppi che quel documento ha avuto, per la mia attività politica, ma in questa sede scelgo di concentrarmi, documentandone il contenuto, sulla spiegazione offerta al primo punto dell’autoriforma da me proposta, ovvero la restrizione ai nuovi accessi alla professione. Pubblico dunque le parole esatte scritte nel gennaio del 2014, perché a distanza di quasi quattro anni, esse mi appaiono più attuali che mai:
Rileggendo e riflettendo, non posso non dolermi di altri quattro anni persi, tra stupida propaganda, assurde teorie, miranti ad equiparare il numero degli avvocati a quello dei medici, ed altra spazzatura, che ha sapientemente invaso le menti degli avvocati italiani per anni, in modo che non si comprendesse come il primo problema dell’avvocatura italiana sia che in Italia ci sono troppi avvocati.
Qualcuno si scandalizza di fronte a questa solare evidenza, reagendo indignato all’idea di una regolamentazione ai nuovi accessi alla professione forense, molti invocano le cosiddette norme sulla concorrenza, che impedirebbero un provvedimento di natura statale, teso a dare Ordine alla professione. Ho letto e udito di tutto, le più sonore idiozie, un mare di amenità, provenienti da soggetti totalmente ignari della vicenda, sia sul piano giuridico, che su quello politico.
L’Ordine degli avvocati esiste perché è Ordine. Lo Stato ritiene che la professione forense non sia soggetta unicamente agli interessi di chi la vuole svolgere, ma debba potersi svolgere secondo un Ordine. Tale Ordine è teso a garantire valori sovraordinati rispetto a quelli individuali. La qualità delle prestazioni, l’assenza di dumping, non sono restrizioni della concorrenza, ma regolamentazione della stessa, in un’ottica tesa a dare Ordine allo svolgimento di un’attività di fondamentale importanza per un settore centrale nella vita dello Stato: la giustizia.
Restringere i nuovi accessi alla professione, selezionando i più meritevoli, secondo criteri inoppugnabili, non è dunque illegale. Illegale è semmai il contrario, ovvero lasciare che gli avvocati si scannino tra loro, mettendo in opera le più indecorose pratiche di dumping, funzionali alla cannibalizzazione della categoria e foriere di mostruosi scadimenti nella fornitura dell’assistenza legale dei cittadini.
Nessuno si scandalizza se uno Stato impedisce e contrasta delocalizzazioni industriali, difendendo interessi nazionali. In molti si stracciano le vesti se il dumping sociale non vede coinvolti i professionisti, rimettendo al centro del mercato le regole e la sopravvivenza dei suoi operatori, piuttosto che una logica cannibale del massimo ribasso, che con la concorrenza non ha nulla a che vedere e che rappresenta la negazione della società e della concorrenza, l contrario di una sua piena affermazione.
Si preferisce che il lavoro sporco lo faccia lo sterminio, mentre oggi, a distanza di quasi quattro anni da quel gennaio 2014, i personaggi che negano lo scoppio della bolla speculativa legata al boom dell’avvocatura di massa cominciano contarsi sulla punta delle dita, non senza che questi anni persi abbiano ulteriormente aggravato la situazione nel settore delle prestazioni legali, contribuendo ad inasprire la situazione della giustizia in Italia, ormai al collasso da decenni e prossima al coma irreversibile.
Uno Stato serio regola e conferisce Ordine ai mercati. Il dumping non è concorrenza. Il massimo ribasso che cannibalizza gli operatori ed annulla la prestazione non è concorrenza. La concorrenza senza regole non è concorrenza, per definizione.
Tre crediti formativi in chimica a chi comprenderà l’articolo.
Avv. Salvatore Lucignano