I dati parlano chiaro: il lavoro è diventato ormai un privilegio, se per lavoro si intende un’attività che offra la possibilità di aumentare il proprio benessere personale e familiare, trovandosi inserito in una rete di protezione sociale. Oggi il lavoro è diventato molto spesso una mera attività di speculazione, data da rendite che fruttano denaro, ovvero una serie di attività che occupano, ma non offrono reddito. Tutto questo è frutto di precise scelte e logiche politiche. Si è scelto di spostare ricchezza dal lavoro e dai lavoratori alle rendite, siano esse rendite speculative o mascherate da posizioni lavorative privilegiate. Il risultato dell’impoverimento del lavoro e dei lavoratori è una società in cui alla stabilità dell’esistenza e della crescita si è sostituita l’instabilità dell’accaparramento e della sopravvivenza. Per sua natura, la sopravvivenza non è compatibile con la serenità e l’inclusione sociale.
Il welfare privato, l’erosione del risparmio familiare, ha generato milioni di mantenuti, solo parzialmente autonomi, legati ai genitori e ai nonni da esigenze di sopravvivenza. La ricchezza familiare, così intesa, diminuisce drasticamente.
E’ un fenomeno fotografato anche dal secondo rapporto annuale CENSIS sull’avvocatura, laddove emerge che circa il 70% dei legali italiani, per affrontare spese critiche, ricorra ai propri risparmi. Singolare il dato che riguarda il confronto tra gli avvocati più giovani e quelli più anziani: il 48% dei legali con meno di 10 anni di anzianità si rivolge infatti ad amici o parenti, per spese critiche, mentre il dato, tra chi ha oltre 30 anni di esercizio alle spalle, è del 13%.
I giovani sono più poveri e vengono sostenuti dalle famiglie, ma è assurdo considerare individui che arrivano alla soglia dei 40 anni come “giovani”.
L’Italia è uno dei paesi in cui il prolungamento della giovinezza è apparso più legato alla mancanza di indipendenza economica, che a propensione culturale. L’impoverimento delle generazioni più giovani, la perdita di tutele lavorative, i sistemi di calcolo delle pensioni, enormemente sfavorevoli rispetto agli anziani, il crollo dei redditi, per i liberi professionisti, hanno creato una evidente spaccatura economica: da una parte i vecchi, tutelati da percorsi lavorativi continui, pensioni maturate con il sistema retributivo e redditi accumulati in periodo di benessere, dall’altra parte i giovani, sempre più poveri, sempre più precari, impossibilitati a guardare al proprio futuro con ottimismo e spesso costretti a rinunciare ad investire nella famiglia e nella crescita personale.
E’ forse il più drammatico problema del nostro tempo e necessita di un’attenzione strutturale, ma anche di un totale capovolgimento del paradigma operativo e politico delle classi dirigenti.
I giovani andrebbero pagati meglio, i meccanismi tesi a sostenere la contribuzione previdenziale per coloro che non riescono a farlo, visti i redditi bassi, dovrebbero divenire la priorità per i governi. Le misure volte a dare reddito di vita ai giovani, in modo da poterli affrancare dalla dipendenza verso i propri ascendenti, si palesano oggi come una fondamentale esigenza sociale. Impedire ai giovani di guardare con fiducia al futuro significa negare un futuro alle nostre società.
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Avv. Salvatore Lucignano