MEMORIA A SEGUITO DI ESPOSTO DEL PRESIDENTE LUCIANO

29 Maggio, 2017 | Autore : |

Devo difendermi dalle accuse di aver violato il codice deontologico. In primo luogo mi rifaccio a quanto da me già scritto, con le note richiamate da questo stesso Consiglio Distrettuale di Disciplina. In secondo luogo rinuncio all’assistenza di un legale: preferisco non gravare alcun collega di questo ingrato compito e ciò nonostante moltissimi si siano offerti di assistermi, anche allo scopo di manifestarmi la loro solidarietà. Chiedo dunque che le comunicazioni inerenti al presente procedimento mi vengano inviate a mezzo PEC, all’indirizzo a cui mi stanno attualmente giungendo.

Mantenere un atteggiamento serio, pur soltanto nella scrittura, nel mentre sono costretto alla redazione di questa memoria, mi risulta assai complicato. Le istituzioni forensi giudicano un avvocato che le combatte e che a sua volta le definisce da anni inique, ingiuste, affaristiche, autoritarie, padronali. Io partirei da qui: oggi le istituzioni forensi giudicano della correttezza di un avvocato che le combatte. E’ questa una prima nota su cui riflettere. Ho cominciato a combattere le istituzioni forensi italiane nel gennaio del 2014. Mi appariva ingiusto che un collega fosse costretto a versare poco meno di 4 mila euro all’anno per la contribuzione previdenziale obbligatoria, anche a fronte di redditi bassissimi o nulli. Fu questo il primo aspetto che mi spinse ad abbandonare la cura dei miei affari e a cominciare a combattere per un’avvocatura giusta ed equa, verso i più giovani e i più deboli.

Ricordo perfettamente che nel corso dei primi mesi di questa battaglia inviai molte istanze al Consiglio dell’Ordine di Napoli e al Consiglio Nazionale Forense. Ad oggi, a distanza di quasi tre anni e mezzo, tali istanze risultano ancora senza risposte. Le istituzioni forensi italiane sono fatte così: rispondono solo agli amici, non certo ai critici, in special modo se certe risposte non si possono dare.

Vengo dunque all’oggetto delle doglianze del Presidente della Cassa di Previdenza Forense. Egli assume che io su facebook l’abbia diffamato. Io non sono affatto d’accordo. Semmai l’ho irriso, provocato, dileggiato e date le circostanze non ritengo di aver fatto male. La vicenda l’avete ricostruita: pubblico una lunga dissertazione sulle istituzioni forensi italiane, condivisa da decine e decine di avvocati. Tale dissertazione viene assunta dal Presidente della Cassa Forense come l’elemento scatenante di una prova di forza. Perché? Forse perché io sono particolarmente duro con l’istituzione? Ma nemmeno per sogno. Ogni giorno su facebook, specie in occasione delle scadenze dei pagamenti dei contributi, la Cassa Forense viene ricoperta di insulti da migliaia di avvocati italiani. Non accade nulla. Lo stesso Presidente della Cassa Forense ha pubblicamente detto: “certo, non possiamo agire contro tutti, ma contro qualcuno si deve fare”. Ecco, quel qualcuno sono io.

 

Ma perché proprio io? Perché io non mi limito a dire che vogliamo pagare di meno, come fanno gli avversari che piacciono al Presidente della Cassa Forense. No, io spiego le ragioni per cui vogliamo pagare il giusto, illustro il meccanismo affaristico e clientelare che consente ai delegati della Cassa Forense, attraverso il cosiddetto “welfare attivo”, di aumentare i propri consensi, mi batto contro le indennità faraoniche godute dalle istituzioni forensi, combatto perché i giovani avvocati non siano più tagliati fuori dalla rappresentanza dei propri interessi, oggi gestita dai vecchi (Cassa Forense) e dai vecchi cassazionisti (Consiglio Nazionale Forense).

Tutto questo le istituzioni forensi non possono permetterlo. Non si possono permettere che un avvocato le definisca “cupola”, che quotidianamente questo avvocato faccia attività di denuncia di un “sistema” che vessa, deruba, irride, ignora e schiaccia i deboli, i giovani e le donne, al solo fine di procurare ai vecchi che comandano le istituzioni, i cosiddetti “istituzionalizzati”, utilità mediate e dirette.

Dopo le minacce di esposto e di querela io sono andato a Napoli, a un convegno in cui era presente il Presidente della Cassa Forense. Sono andato lì solo per lui. Ho fatto una cosa che non faccio mai, ovvero partecipare a questi convegni in cui non si dice mai niente che valga la pena ascoltare. Lui era lì e ha tediato l’uditorio per ore, con la sua propaganda. Io ho chiesto di parlare, di poter rispondere, di dire la mia, ma non mi è stato concesso. Sono stato zittito in casa mia, nel mio stesso Foro di appartenenza: le parole di un avvocato, di un certo avvocato, erano scomode, non si potevano pronunciare.

Allora io sono tornato a casa e ho denunciato su facebook la prepotenza e l’arroganza del potere e l’ho fatto alla mia maniera, ovvero con il dileggio e con il turpiloquio.

Facebook e i social network, ovvero la cristallizzazione del momento, così come lo esprime l’alias, l’avatar. Mi era stato offerto un modo comodo per evitare i procedimenti disciplinari, avrei potuto recitare il ruolo del pentito, ma questo ruolo non mi si addice.

Sono passati anni, io ho continuato a combattere per un’avvocatura finalmente democratica, libera dall’affarismo, dall’autoritarismo, dalle clientele e dall’assistenzialismo della Cassa Forense.

Il 21 aprile mi sono  incontrato con il Presidente della Cassa Forense, a Roma, all’interno della sede dell’ente. Ho condotto con lui una vertenza, in cui a nome di centinaia di colleghi, ho richiesto quanto segue:

  1. NO TAXATION WITHOUT REPRESENTATION.
    Estensione dell’elettorato attivo e passivo a tutti gli iscritti all’albo, per l’elezione dei delegati alla Cassa Forense;
  2. MASSIMA TRASPARENZA, OLTRE LA LEGGE.
    Pubblicazione dei verbali delle riunioni dei delegati, delle delibere, dei risultati delle votazioni all’interno del Comitato dei Delegati della Cassa Forense;
  3. ISTITUZIONI ESEMPLARI, PER RIDARE AUTOREVOLEZZA.
    Approvazione di una delibera che riporti le indennità ed i gettoni previsti dalla Cassa Forense per i delegati al livello precedente all’ultimo aumento, deciso pochi mesi fa.
  4. UN DIVERSO SISTEMA PREVIDENZIALE E’ POSSIBILE.
    Creazione di una commissione di studio interna a Cassa Forense, per l’analisi di un diverso sistema previdenziale, basato su:

4.1. progressività e proporzionalità della contribuzione;
4.2. revisione dei privilegi abusati dalle generazioni precedenti, oggi chiamati erroneamente diritti quesiti.

Attuazione di ogni misura politica volta ad estendere questo tema all’intera previdenza italiana, oltre quella forense.

 

All’esito del confronto le parti hanno convenuto che le richieste dei manifestanti riceveranno una risposta da parte dell’Ente di Previdenza. L’incontro è stato verbalizzato e del verbale mi fu promessa diffusione, per informare gli avvocati italiani di ulteriori dettagli.

 

Oggi è il 29 maggio 2017 ed io ancora aspetto. Tutto tace e del verbale dell’incontro, pur promesso, ancora non ho avuto traccia. Ad ogni modo io e il Presidente Luciano abbiamo discusso, senza riferimenti a questi esposti o all’editto che io ho battezzato “delle oche giulive”, perché emanato in presenza delle silenti colleghe dei comitati pari opportunità di mezza Italia, quello con cui il Presidente invocava la mia “espulsione dal sistema”.

 

La mia memoria non può essere un atto giuridico, ma deve provare a raccontare un pezzettino della storia dell’avvocatura di questi anni. Una storia fatta di tantissime ingiustizie, di vessazioni, di centinaia di servi sciocchi e di pochi, pochissimi avvocati che si stanno battendo per una professione diversa, più giusta, con istituzioni forensi finalmente rappresentative degli interessi dei colleghi. Io non posso e non voglio riassumere in una memoria scritta le centinaia di documenti che ho prodotto e pubblicato in questi anni, la mia battaglia, la nascita di Nuova Avvocatura Democratica, associazione che ad oggi conta quasi 350 avvocati iscritti e che si batte per la libertà dell’avvocatura non istituzionalizzata. Dovrei riassumere in un atto solo anni di vita e non sarebbe sensato.

Ho altri procedimenti disciplinari in corso, sempre in ragione di questa battaglia che porto avanti. Non posso aver timore degli esiti di cose del genere. Non vi chiedo pertanto di giudicare gli addebiti che mi vengono mossi con equità. L’avvocatura italiana non può contenere al proprio interno individui che la danneggiano, ne minano l’immagine, ne offendono il decoro, come il sottoscritto. E’ un problema, anzi… è il problema della nostra categoria.

Ritengo dunque che per le gravissime offese da me arrecate al Presidente della Cassa Forense, che mi sembra distrutto dal dolore per i miei post su facebook, la pena giusta sia la radiazione dall’albo degli avvocati. L’ho già suggerita in altri procedimenti: occorre radiarmi. Dobbiamo tenere nell’Ordine Forense solo gli avvocati decorosi, quelli bravi, quelli svegli. Quelli che sono bravi davvero, bravi ragazzi. Ecco si, quei bravi ragazzi.

Frittole, millequattrocento, quasi millecinque

Avv. Salvatore Bluto Lucignano

 

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