E’ uno dei grandi vulnus nel sistema dell’Ordine Forense: l’assoluto arbitrio che il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) adotta nella gestione ed approvazione del proprio bilancio. Una prassi oscurantista e medievale, che nel 2017 ha portato gli iscritti all’Ordine Forense a conoscere le decisioni della massima istituzione forense italiana solo a maggio inoltrato, nel più totale silenzio della categoria, omertosa e ben attenta a non dispiacere al manovratore.
Eppure il CNF utilizza soldi degli avvocati, ma non deve rendere conto in alcun modo ai propri finanziatori delle scelte fatte. Una previsione che stride fortemente con i principi dell’ordinamento democratico e costituisce un inaccettabile privilegio per una categoria di avvocati che può così disporre a proprio piacimento di denaro altrui.
Tutto questo avviene nonostante i Consigli dell’Ordine circondariali, che pure costituiscono il contraltare, su base locale, all’Organo istituzionale centrale deputato alla tutela degli aspetti pubblicistici della classe forense, devono comunque passare per l’assemblea degli iscritti, per poter approvare i propri bilanci.
Ebbene, se è vero che le assemblee deputate all’approvazione dei bilanci consiliari sono spesso poco più che stanchi ed abulici momenti di ratifica, è altrettanto innegabile che, laddove vi sia voglia e forza di avere un confronto, la discussione del bilancio in assemblea costituisca un momento di verifica e richiamo alla trasparenza, che impone ai Consigli di sottoporre le proprie scelte ai finanziatori della propria attività istituzionale.
Al CNF tutto questo non avviene. Questa istituzione accentra su di sé una serie di poteri, di fatto illimitati, che rendono i componenti del Consiglio totalmente invulnerabili rispetto alla censura, alla critica, all’assunzione di responsabilità per la propria gestione del denaro dei colleghi. Nascosti negli alibi dell’autodichia, dell’autonomia finanziaria, della indisponibilità a farsi giudicare da soggetti terzi, placata la sete di giustizia del Ministero della Giustizia, grazie ad un atteggiamento compiacente e complice verso il Ministro di turno, i componenti del CNF non devono dare conto a nessuno delle proprie azioni, in una sorta di gigantesco inno all’impunità, che mortifica tutti i principi a cui dovrebbe essere conformata la professione forense.
Certo, le previsioni in materia di bilancio, che legittimano gli abusi, sono contenute nella famigerata legge professionale forense, quell’orrore che Guido Alpa ha concepito, per sé e per i suoi epigoni. Non è però detto che le disgrazie debbano durare in eterno e quella legge, anche sotto questo aspetto, andrebbe modificata, imponendo un momento di confronto e di dialettica democratica tra il CNF e gli avvocati, in merito ai denari di questi ultimi.
Si potrebbe dunque immaginare che i Consigli dell’Ordine circondariali, nell’ambito delle funzioni istituzionali che dovrebbero essergli proprie, vengano convoncati in assemblea, per poter discutere del bilancio predisposto dal CNF. Ovviamente si tratterebbe di una pratica che manterrebbe il controllo e la verifica sulle scelte del CNF all’interno della componente istituzionale dell’avvocatura, ma almeno si supererebbe l’attuale situazione, di totale arbitrio, che viene espressa in merito dai padroni della classe forense.
Un controllo diffuso, affidato ai Consigli dell’Ordine, sarebbe dunque ed in definitiva un piccolo, piccolissimo passo per gli avvocati, ma un grandissimo passo per l’avvocatura.