Il codice deontologico prevede che un avvocato debba non solo “esercitare” la professione, tra le altre, “con decoro”, ma che “nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense” debba osservare il medesimo “decoro”. La parola “decoro” e un sostantivo maschile che proviene dal latino decorus, affine a decēre, ovvero “esser conveniente” e pertanto la parola decoro nel dizionario Treccani, incontra molteplici sfumature di significato:
“1. a. Dignità che nell’aspetto, nei modi, nell’agire, è conveniente alla condizione sociale di una persona o di una categoria: vivere, comportarsi con decoro; era vestito con decoro; lo esige il decoro; non lo consente il decoro; il decoro della magistratura. Si dice anche, per estens., d’altre cose, col sign. più generico di dignità, sostenutezza, decenza e sim.: il decoro della lingua, dello stile, dell’arte. b. Il sentimento della propria dignità, la coscienza di ciò che si addice e che è dovuto al proprio grado, alla propria funzione o condizione: non avere decoro; persona senza decoro, priva di decoro; trattamento economico che offende il decoro dei funzionarî. Nel codice di diritto canonico è detto decoro clericale l’ideale di maggior santità interiore e il carattere di esemplare comportamento esteriore, che, in forza della loro alta professione, i chierici devono realizzare nei confronti dei semplici laici. 2. Decorazione scenica, scenario (in questo sign. ricalca il fr. décor). 3. fig. Ornamento, onore, lustro, riferito a persona: essere il decoro della famiglia, della città, della patria; il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, Decoro e mente al bello italo regno (Foscolo). 4. letter. ant. Armoniosa proporzione richiesta nelle opere d’arte tra le parti e il tutto, tra la forma e il contenuto (o anche, nelle opere d’architettura, rispondenza della costruzione allo scopo cui è destinata), in conformità dei canoni estetici rinascimentali e classicisti: si debbe osservare il decoro, cioè che li movimenti sieno annunziatori dei moto de l’animo (Leonardo); gli antichi nell’edificare i tempi si ingegnarono di servare il d., nel quale consiste una bellissima parte dell’architettura (Palladio volgarizzato).”
Ma come il decoro, al di fuori dell’attività professionale, dovrà tendere a salvaguardare la immagine della professione forense? La “convenienza” etimologica è necessaria a salvaguardare una posizione di privilegio oppure la fiducia che il cittadino deve riporre nei confronti di colui al quale si rivolga per essere tutelato? E quel cittadino preferirà un avvocato che non dica le parolacce, perché gli avvocati non dicono le parolacce, oppure un avvocato che sia in grado di tutelarlo con onestà intellettuale e preparazione, indipendentemente dalle parolacce che dice? E l’appartenente ad una categoria preferirà chi faccia gli interessi della categoria dicendo parolacce, oppure chi non li faccia e vestendo gli abiti del francescano, pensi, nel convento ed al riparo da occhi indiscreti, a rimpinguarsi la pancia già piena?
Usare la etimologica “convenienza” per assegnare alla parola decoro un significato che prescinde dalla funzione, significa abusare della morale per assegnare ai famosi imperativi categorici kantiani ed alla deontologia – dal greco appunto lo studio (λογία) del δέον -οντος (dovere essere)- un significato che non hanno; significa attribuire al dover essere un codice comportamentale, il cui scopo non è impedire di ledere la dignità o la salute di chi sia oggetto dell’operato del professionista e quindi, transitivamente la perdita di credibilità di tutta la categoria professionale e della funzione che essa rappresenta; ma, al contrario, servirsi dell’apparenza del “decoro” e di cosa sia conveniente o sconveniente ad un avvocato, per altri scopi, di controllo sociale od eliminazione del concorrente, senza aver previamente stabilito se il turpiloquio, l’attacco colorito dell’avversario, la dialettica forbita ed inusuale, siano più o meno importanti del fine cui tendono.
Arthur Schopenhauer, ne “Il fondamento della morale”, epiteta la deontologia e l’imperativo categorico kantiano, come un’altra salsa del moralismo teologico che, per evitare contestazioni, “con un minaccioso appello alla coscienza di chi dissente pretende di far tacere ogni dubbio” .
Non è pensabile che il decoro professionale sia volto alla tutela dell’apparire più che dell’essere, né accettabile che il legislatore del δέον –οντος, utilizzi il decoro come mezzo di controllo degli appartenenti ad una categoria professionale da parte dei professionisti e degli organi “rappresentativi” che ne stanno al vertice una volta concentrati i poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale!!!