IL CNF VENNE CON SENTENZE ADDIRVI… PERCHE’ (AGGETTIVO QUALIFICATIVO)

15 Febbraio, 2017 | Autore : |

Impugnata la sentenza del CNF sulle elezioni del COA di Potenza.

Nel dicembre del 2016 il Consiglio nazionale forense, dopo quasi due anni, si è pronunciato sul reclamo proposto da alcuni avvocati di Potenza avverso le elezioni del Consiglio dell’ordine potentino svoltesi nel febbraio del 2015, respingendolo.

La sentenza del CNF, basata su motivazioni politiche di comodo, del tutto errate e contrastanti con fondamentali principi di diritto, come si dirà, non poteva restare inoppugnata.

Infatti uno degli originari reclamanti, ossia l’Avv. Maria Carmela Gioscia, esponente locale dell’Associazione Nazionale Forense, con il mio patrocinio, ha proposto ricorso per cassazione, evidenziando i gradi errori di diritto che affliggono la pronuncia del CNF.

In quest’ultima il CNF ha ritenuto che, nonostante l’intervenuto annullamento parziale del D.M.140/2014 da parte del giudice amministrativo (con le sentenze n. 8333 e 8334 del 13-6-2015 del T.A.R. del Lazio e la sentenza n. 3414 del 28-7-2016 del Consiglio di Stato), non sarebbe possibile annullare le elezioni poiché “la legittimità degli atti amministrativi deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione”; sicché non potrebbe tenersi conto dei predetti provvedimenti giurisdizionali, in quanto intervenuti in epoca successiva alle operazioni elettorali relative al Consiglio dell’ordine di Potenza, conclusesi nel febbraio del 2015.

Né sarebbe possibile, secondo il CNF, la disapplicazione del regolamento ministeriale, in quanto non richiesta dai reclamanti, né rientrante nei suoi poteri.

Ebbene, le ardite tesi giuridiche del CNF sono state analiticamente vivisezionate e demolite, osservando quanto segue.

Anzitutto, che l’annullamento giurisdizionale del giudice amministrativo ha effetto retroattivo e rende tamquam non esset l’atto impugnato (in tal senso, da ultimo, Cass. civ. Sez. I, Sent. 08-02-2016, n. 2408; Cons. Stato Sez. III, Sent. 26-08-2016, n. 3706).

Inoltre, che l’efficacia dell’annullamento giudiziale di un atto a natura regolamentare si estende a tutti i possibili destinatari, sebbene non siano stati parti del giudizio, dato che l’annullamento di un atto amministrativo a contenuto normativo ha efficacia erga omnes per la sua ontologica indivisibilità (cfr. Cons. Stato Sez. VI, Sent., 01-04-2016, n. 1289; Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2011, n. 6212; in senso analogo, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6473; Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2007, n 883).

Ora, nelle more del giudizio innanzi al CNF il T.A.R. del Lazio, con sentenze n. 8333 e 8334 del 13-6-2015, ha annullato parzialmente il D.M. 170/2014, dichiarando “l’illegittimità degli articoli 7 e 9 del regolamento ministeriale impugnato nella parte in cui: a) consentono a ciascun elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero di candidati da eleggere; b) consentono la presentazione di liste che contengano un numero di candidati pari a quello dei consiglieri complessivamente da eleggere e c) prevedono che le schede elettorali contengano un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere”.

Con sentenza n. 3414 del 28-7-2016 il Consiglio di Stato, poi, ha confermato la sentenza n. 8333/2015 del T.A.R. del Lazio (la sola delle due che era stata impugnata), mentre la sentenza n. 8334/2015 del medesimo Tribunale è passata in giudicato in data 13-1-2016 (decorso il termine lungo semestrale di cui all’art. 92, 3° comma, c.p.a.).

Va da sé, pertanto, che il CNF non potesse dare alcuna applicazione ad una normativa non vigente (per fictio iuris) alla data delle elezioni, in conseguenza dell’effetto retroattivo e generale (erga omnes) dell’annullamento derivante da pronunce giurisdizionali passate in giudicato.

Del tutto errato è pure l’assunto che i reclamanti non avrebbero chiesto la disapplicazione del regolamento ministeriale del 2004, dato che nel reclamo si leggeva, testualmente, quanto segue: “Il D.M. 170/2014 è, in partibus quibus, illegittimo e va disapplicato dall’On.le C.N.F. adito, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 14-07-2014, n. 3623; Cons. Stato, Sez. VI, 29-5-2008, n. 2535; Cons. Stato, Sez. VI, 3-10-2007, n. 5098; Cons. Stato, Sez. VI, 12-4-2000, n. 2183)”.

Parimenti errata è la tesi che il CNF non potesse disapplicare norme regolamentari illegittime.

Come già osservato dalla Sezioni Unite della Cassazione con sentenze nn. 2481/2017 e 2614/2017, emesse in fattispecie analoga, “se il CNF può sollevare questioni di legittimità costituzionale (Corte cost. n. 189 del 2001; n. 284 del 1986) a maggior ragione può disapplicare gli atti amministrativi nell’esercizio della propria funzione giurisdizionale”.

Nel nostro ordinamento, infatti, il giudice dispone, a seconda dei casi, del potere di annullamento o di quello di disapplicazione delle norme regolamentari illegittime.

Orbene, come dedotto con l’originario reclamo, le elezioni dei membri del COA di Potenza si sono svolte in totale e piena osservanza degli art. 7 e 9 del D.M. 170/2014.

In particolare: 1) le tre liste presentate erano formate ciascuna da un numero di candidati pari a quello dei membri del consiglio da eleggere (quindici); 2)      le schede elettorali contenevano un numero di righe pari a quello dei componenti del consiglio da eleggere (quindici); 3) era possibile esprimere il voto indicando una delle tre liste di candidati concorrenti, nel qual caso il voto s’intendeva automaticamente esteso a tutti i candidati della lista votata (quindici); 4) le preferenze potevano essere espresse in misura pari al numero complessivo dei componenti del consiglio da eleggere (quindici), fermo il limite massimo dei due terzi per ciascun genere (maschile o femminile).

Ebbene, tali modalità di voto sono manifestamente illegittime per violazione dell’art. 28, comma 3, della L. 247/2012, a mente del quale “ciascun elettore può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto”.

Infatti secondo i giudici amministrativi l’art. 28 della L. 247/2012 va interpretato nel senso che ciascun elettore possa esprimere, al massimo, un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto, fermo restando l’obbligo di assegnare almeno un terzo di preferenze al genere meno rappresentato.

In tal modo (ossia col sistema del voto limitato) viene assicurata la possibilità, per le minoranze, non solo di genere, di essere adeguatamente rappresentate in seno al consiglio dell’ordine.

Ciò premesso, appare chiaro che le modalità delle votazioni dirette al rinnovo del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Potenza non sono state rispettose della legge, come rettamente interpretata dai giudici amministrativi: ciascun elettore avrebbe potuto esprimere, al massimo, dieci preferenze, mentre, nel caso di specie, si è consentito all’elettore di esprimerne fino quindici (pari al numero dei membri da eleggere); inoltre le liste di candidati avrebbero dovuto essere formate, al massimo, da due terzi dei membri del COA (dieci).

Ove le operazioni elettorali si fossero tenute nel rispetto della legge, l’esito delle elezioni sarebbe stato sicuramente diverso.

Infatti l’illegittima formazione delle liste (composte di quindici candidati, in luogo di dieci) e l’altrettanto illegittima modalità di voto (espressione di quindici preferenze, in luogo di dieci) ha falsato completamente il risultato elettorale.

E’ verosimile che siano risultati eletti candidati in sovrannumero nelle liste partecipanti, che non sarebbero stati eletti col sistema del voto limitato, e che si sia preclusa la partecipazione alle elezioni di candidati che non sono riusciti a coalizzarsi in liste di quindici componenti.

Non si tratta di mere irregolarità, ma dell’applicazione di un sistema elettorale completamente diverso da quello (a voto limitato) previsto dall’art. 28 della L. 247/2012, così come chiarito dal TAR del Lazio nelle sentenze citate, confermate dal Consiglio di Stato.

Pertanto è necessario che le elezioni di che trattasi vengano ripetute, nel rispetto degli esposti principi, considerato che le operazioni elettorali si sono svolte in applicazione di norme regolamentari illegittime.

La parola passa, quindi, alla Corte di Cassazione, che, con probabilità elevatissima, prossima alla certezza, non potrà che annullare le elezioni del COA di Potenza, per le stesse motivazioni poste a base dell’annullamento delle elezioni dei COA di Latina e di Bari (Cass. SS.UU. n. 2481 del 31-1-2017 e n. 2614 dell’1-2-2017).

Avv. Donatello Genovese

Membro del Direttivo NAD

 

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