In uno splendido film di Ermanno Olmi, “Il mestiere delle armi”, si raccontano le gesta guerresche del celeberrimo Giovanni delle Bande Nere, soldato di ventura. Giovanni De’ Medici (questo il vero nome del soldato), muore a Mantova, il 30 novembre 1526, a soli 28 anni, ferito da un colpo di falconetto tirato dai lanzichenecchi al servizio dell’imperatore Carlo V.
La morte di Giovannino è uno dei momenti storici che segna il passaggio tra il medioevo e l’età moderna. Non solo perché mostra l’impotenza delle lance e delle spade contro le armi da fuoco, ma anche perché contribuisce al definitivo tracollo del potere temporale del Papato, sopraffatto dallo Stato moderno e dalle monarchie nazionali.
Il soldato di ventura combatte per denaro, al servizio di chi lo paga. Non è un caso che Ermanno Olmi, regista attento e profondo indagatore dell’animo umano, si soffermi sulla doppia natura della guerra di Giovannino: da un lato infatti ne elogia il coraggio, ma dall’altro non rinuncia a dipingerlo per ciò che egli è: un mercenario, al servizio di chi lo paga. Giovanni è convinto che il denaro sia un mezzo indispensabile per fare la guerra, ma ignora un elemento che risulterà decisivo per la vittoria dei suoi avversari: il crescente senso di appartenenza ad una nazione, che porterà progressivamente gli Stati nazionali a diventare i protagonisti incontrastati dell’era moderna, relegando le teocrazie temporali, ed in particolare il Papato con sede a Roma, ad un ruolo sempre più marginale nella storia europea.
LA DIFESA DEL SOLDO
I soldati di ventura dell’avvocatura italiana sono molto meno coraggiosi di Messer Giovannino. Non ci troviamo di fronte ad impavidi capitani, pronti a sfidare il fuoco nemico pur di portare a termine l’incarico, ma ad avventurieri, in cerca di prebende e privilegi, pronti a giustificarli con ogni sorta di astruse e risibili argomentazioni.
Il nostro film si potrebbe chiamare “Il mestiere delle istituzioni forensi” e narrerebbe le gesta, in realtà ben poco eroiche, del nostro Nunzio “Lucky” Luciano, del Presidente Professionista della Cassa Forense, che fa un doppio lavoro (beato lui…ecco perché è Lucky, ovvero fortunato). Egli infatti è avvocato e Presidente della Cassa Forense, due ruoli di immenso sacrificio, due compenetrazioni consustanziali, che lo assorbono completamente e gli consentono di portare a casa un doppio stipendio. Di volta in volta, alla bisogna, egli può rivendicare di essere l’uno o l’altro, in modo da poter continuare ad incassare di qua e di là, perché è chiaro che il mestiere della politica forense sia ormai talmente assorbente da impedire di fare l’avvocato, ma non vorremo mica rinunciare ai redditi, agli incarichi, ai clienti che possiamo continuare a procurarci, facendo anche l’avvocato?
La difesa della natura “professionale” degli incarichi, o meglio di “certi” incarichi assunti dagli avvocati italiani tocca cuori che possono destare sorpresa, ad uno sguardo distratto. In difesa del mestiere dei padroni delle istituzioni forensi accorrono infatti non solo i paperi istituzionalizzati, ma anche quei finti guerriglieri, a cui piace apparire “contro”, ma che invece, nella migliore tradizione delle macchiette incarnate dai mitici Totò ed Aldo Fabrizi, sono “pro”.
“Ma lei non aveva detto di essere pro?”
“Ah no, io sono contro…”
“No guardi… lei aveva detto di essere “pro”…”
“E va bene, cari avvocati di base… caro Presidente… ma io devo arraffare da tutte le parti… mica posso schierarmi contro le indennità professionali dei soldati di ventura… e poi… siamo italiani… abbiamo fatto la guerra…”
I POLITICI DI VENTURA
In realtà la professionalizzazione della politica forense, decisa arbitrariamente dalla cupola che comanda la professione forense in Italia, è un elemento che contribuisce a generare un ulteriore imbarbarimento della penosa vicenda vissuta dalle nostre istituzioni forensi. I mercenari che si attribuiscono il generoso “soldo” entrano a far parte di una schiera di “soldati” che si muove all’interno di orizzonti ed ideali che nulla, ma proprio nulla, hanno a che vedere con la rappresentanza dei colleghi. Essi fanno “il mestiere”, ovvero il mestiere della politica.
La politica come mestiere è una delle degenerazioni della rappresentanza contemporanea, che si riverbera nella democrazia della distanza. Il distacco tra vertici politici ed istituzionali e corpi sociali rappresentati, spesso proletarizzati, incapaci di sostenere i propri nuclei familiari, si esprime infatti anche attraverso il benessere conseguito dai “rappresentanti” per mezzo della politica. La politica diventa così uno strumento di incremento delle proprie possibilità patrimoniali, perdendo la natura di servizio in favore di una collettività.
Non importa che questo risultato si ottenga in ragione di uno scopo mediato o diretto: è l’effetto che si raggiunge, mediante la corresponsione di laute “paghe” per i soldati di ventura, che travolge e distorce lo scopo, la funzione e gli elementi morali alla base di questa attività.
IL VERO POPULISMO: LA DOPPIA MORALE DEI FINTI SACRIFICATI
Il paradosso dei mercenari che usano le istituzioni forensi per arricchirsi è ben rappresentato dalla farsa del “sacrificio” a cui essi si sottoporrebbero. Nella “vulgata” che raccontano al volgo, essi si sacrificano. Le cariche a cui ambiscono, che fanno di tutto per mantenere, possibilmente a vita, che cercano di trasmettere ai figli, alle amanti, ai nipoti, ai portaborse e ai paperi fedeli, vengono dipinte come sedie elettriche, costanti fonti di torture e sofferenze.
Naturalmente sono tutte balle, ma sono moltissime le menti labili che ancora, nel 2017, si lasciano infinocchiare da queste leggende. La realtà è del tutto diversa. L’appartenenza alla cerchia della politica forense e delle cariche istituzionali è un fondamentale strumento di propaganda della propria immagine, che consente ai professionisti “di successo” in campo politico, di ottenere benefici, anche mediati, in ambito professionale. La politica forense rende ricchi, apre porte, permette di allargare la propria sfera di influenza e le proprie conoscenze, consentendo ai “sacrificati”, resi famosi dai propri “penosi” incarichi, di aumentare a dismisura le proprie possibilità di guadagno rispetto ad uno sconosciuto carneade che, fuori dal “sistema”, si limiti a fare l’avvocato.
LA TUTELA DEI PRIVILEGI PASSA PER LA SCONFITTA DELL’AVVOCATURA DI BASE
Negli ultimi giorni i soldati di ventura che comandano e gestiscono il denaro del volgo sono assai in affanno. A Catania, una petizione spontanea, ispirata da alcuni avvocati del Foro locale, ha riscosso in poche ore un tale enorme successo, da mettere in allarme i padrini della cupola e tutti i loro fiancheggiatori. In pochi attimi, all’interno delle tesorerie che erogano i gettoni e le indennità ai poveri derelitti, si è scatenato il panico. La parola d’ordine è diventata: “fermare il populismo”.
Che tenerezza… quanta simpatia provoca sentir parlare di “populismo” da avvocati con il doppio lavoro, la doppia paga, la doppia e tripla morale…
Tutto il “populismo” di cui sono portatori le migliaia (esatto, cari colleghi… migliaia) di avvocati che stanno sottoscrivendo la petizione catanese, si ridurrebbe al chiedere istituzioni sobrie, una politica forense che non sia un mestiere ben retribuito, il rispetto di quell’avvocatura di base che non ha gettoni, non ha indennità e che fatica a dar da mangiare ai propri figli. Ecco, questo è il “populismo” contrastato dalla cupola e dai propri ciambellani.
NUOVA AVVOCATURA DEMOCRATICA E’ CONTRO IL MESTIERE DELLA POLITICA FORENSE
NAD ha dunque preso atto di essere “populista”. Eh si, perché la nostra associazione ha aderito convintamente alla petizione promossa dai colleghi catanesi e raccoglierà le firme per il suo rafforzamento anche all’esterno del web. Dal 27 gennaio infatti alcuni tra noi digiuneranno e manifesteranno, con un presidio semipermanente all’esterno del Tribunale di Napoli, chiedendo che le istituzioni forensi rinuncino alle proprie “paghe”, che l’avvocatura si occupi dei più deboli, non consegnando ai “rappresentanti” le prebende ed i privilegi negati a tutti gli altri.
Per noi i soldati di ventura devono restare un ricordo del medioevo, anche se per la cupola e per i propri lacché queste figure devono dominare le istituzioni forensi. Siamo nel 2017, in Italia, ma siamo anche a Frittole, nel millequattrocento… quasi millecinque…
“NON CI RESTA CHE PIANGERE”.
NUOVA AVVOCATURA DEMOCRATICA
www.nuovaavvocaturademocratica.org
CI RIVOLGIAMO AGLI AVVOCATI E A TUTTI I CITTADINI! DIGIUNIAMO PERCHE’ VOGLIAMO GIUSTIZIA, DIGNITA’, RAGIONEVOLEZZA ED ONORE, PER NOI E PER VOI!
L’AVVOCATURA ITALIANA STA MORENDO. LE ISTITUZIONI FORENSI SI DIMOSTRANO DA ANNI COMPLICI DELLE DISCUTIBILI POLITICHE GOVERNATIVE CHE RIGUARDANO IL COMPARTO GIUSTIZIA E SPESSO NE AGEVOLANO IL PERCORSO, CONSENTENDO L’APPROVAZIONE DI NORME, CHE NON SOLO CONDIZIONANO, VINCOLANO E VESSANO L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE FORENSE, MA LIMITANO FORTEMENTE I DIRITTI DEI CITTADINI.
TUTTO CIO’ NON AVVIENE PER CASO MA PER INTERESSI BEN PRECISI. ANCHE L’AVVOCATURA ITALIANA HA INFATTI LA SUA CASTA CON CUI FARE I CONTI. COSI’, MENTRE GLI AVVOCATI PIU’ GIOVANI E DEBOLI STENTANO A SOPRAVVIVERE E LA GIUSTIZIA E’ SEMPRE PIU’ INACCESSIBILE ED INEFFICIENTE, POLITICA ED ISTITUZIONI FORENSI VANNO A BRACCETTO, TRA PRIVILEGI, INDENNITA’ E STIPENDI FARAONICI.
DIGIUNIAMO DUNQUE PER SOLIDARIETA’ CON GLI AVVOCATI ED I CITTADINI COLPITI DALLA CRISI E DALLA VISTA DELLE PREBENDE CHE LE CLASSI DIRIGENTI CONTINUANO A CONCEDERSI, MENTRE TUTTI GLI ALTRI VENGONO SOPRAFFATTI DALLA POVERTA’.
PRETENDIAMO VERTICI ISTITUZIONALI E POLITICI SOBRI, DECOROSI, RISPETTOSI DI CHI DEVE ABBANDONARE LA PROFESSIONE FORENSE, DI CHI PER DE IL LAVORO.
NON ABBIAMO ALTERNATIVE!