EVOLUZIONE DELLA SPECIE

9 Gennaio, 2017 | Autore : |

Uno dei requisiti che determinano l’accertamento dell’esercizio continuativo della professione forense è l’uso di locali e di almeno un’utenza telefonica destinati allo svolgimento dell’attività professionale. Ciò significa che l’avvocato del futuro deve dare allo Stato la dimostrazione di svolgere la propria attività attaccato a una dimensione fisica, e che lo studio virtuale, concetto ormai pienamente accettato in molti ambiti professionali e lavorativi, non trova posto nell’assetto oggi vigente in Italia.

 

Eppure è proprio la progressiva perdita di valore del “luogo” di lavoro, la capacità di reinventare rapporti tra cose e idee, una delle chiavi di volta della professione intellettuale che verrà. L’avvocato di una volta, legato alle carte, alla segretaria, a riti che prevedevano incontri in luoghi fisici (primo tra tutti il Tribunale), cede il posto a un conoscitore di norme, che può svolgere il suo compito di risolutore di problemi anche in modo totalmente svincolato dal proprio studio.

 

Insomma, oggi per essere avvocato serve altro e la struttura, lungi dall’avere una funzione di mezzo di produzione della prestazione, è più un fattore che può aumentarne il valore commerciale, diventando un elemento di marketing, un fattore di attrazione di clienti. Ecco perché l’assenza di una dimensione virtuale dello studio dalle norme che regolano l’esercizio della professione appare come un ulteriore schiaffo ai giovani avvocati, figlio di una visione arcaica, capace solo di cristallizzare l’esistente, piuttosto che di guardare a ciò che ci aspetta.

 

Ovviamente il contraltare di questa assenza è che le previsioni necessarie ad inquadrare lo studio virtuale nella fisiologia e nella legge, sono oggi del tutto insufficienti. La normativa sulla privacy, lo scambio di intermediazione legato a prestazioni ibride e non codificate, persino i rapporti tra elaborazione di pareri e commerciabilità dei provvedimenti ottenuti in giudizio, scontano un’arretratezza che la nostra legge professionale non può assolutamente colmare. E’ il prezzo di un disegno nato già morto, che non contiene al suo interno nessuna possibilità di essere emendato, ma va totalmente ripensato, adeguandolo ad una realtà che non ha niente in comune con quanto previsto sulla carta.

 

Lo studio virtuale non ha bisogno di una stanza dedicata alla professione, non ne individua alcuna, ha esigenze del tutto diverse, connesse alla capacità dell’avvocato di rispondere a bisogni che vanno oltre la sfera classica della giurisdizione, e legano la professione ad una interdisciplinarietà quasi doverosa. L’avvocato legato alla dimensione fisica del lavoro, oltre a sopportare, specie se giovane, una serie di costi insostenibili per l’esercizio dell’impresa intellettuale, si trova vincolato ad un modo di presentare se stesso che non ha alcun appeal commerciale, e rischia di non vedere i frutti dell’investimento realizzato con l’acquisizione delle nozioni e del titolo di avvocato.

 

Quando si parla di modo di esercizio della professione forense nel prossimo futuro, quando si analizzano i fattori di marketing che possono portare l’avvocato a ritrovare prestigio e fiducia da parte dei cittadini, non si può prescindere da ciò che accade intorno e fuori dal nostro orticello. Secondo i dati pubblicati dal rapporto CENSIS sulla professione forense, commissionato all’istituto di statistica dalla Cassa di Previdenza Forense, per l’85% degli italiani il numero degli avvocati oggi in Italia è eccessivo.

 

L’incapacità di offrire prestazioni che diano “soddisfazione” al cittadino/cliente, indipendentemente dall’impegno del professionista, è una delle ragioni fondamentali che aumentano il distacco tra avvocatura e clienti. Per il 75% degli italiani il sistema giudiziario non garantisce pienamente la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. E secondo il 57% c’è stato pure un progressivo peggioramento nel tempo (solo il 4% ritiene che la situazione sia invece migliorata). In questo quadro, solo un cambiamento radicale dell’approccio alla professione, in linea con i tempi presenti, ma soprattutto con quelli che verranno, può evitare che il mercato delle prestazioni legali veda proprio gli avvocati, che paradossalmente dovrebbero dominarlo, tagliati fuori dalle nuove forme di interlocuzione nel campo del diritto futuro.

 

In questo senso la nascita di un moderno diritto collaborativo, che faccia da contraltare al contenzioso, senza avere lo scopo di limitarlo o impedirlo, ma che offra ai cittadini ed agli avvocati una strada parallela nell’approccio alla fenomenologia della controversia, sarebbe assolutamente fondamentale. Purtroppo, il sistema di ADR italiane, che di fatto si è limitato ad introdurre un quarto grado di giudizio, preliminare e vessatorio, sia per i cittadini che per i professionisti, non fa che allontanare ulteriormente la gente comune dall’esercizio delle proprie ragioni. 

 

Tutte queste considerazioni infine si muovono in uno scenario quasi grottesco. Mentre gli avvocati continuano a perdere reddito, prestigio, fiducia da parte dei cittadini, le istituzioni forensi avallano tutte le misure che contribuiscono a peggiorare la situazione, preoccupandosi al contempo di vessare i professionisti, imponendogli obblighi sempre più astrusi, facenti riferimento ad una concezione della professione ormai superata, quasi “archeologica”. Le elemosine elargite a chi accetta di vivere dei sussidi offerti da questo sistema risultano quindi doppiamente mortificanti per chi vorrebbe una nuova avvocatura, libera e liberale. Si tenta di fidelizzare una piccola fetta di sopravviventi, alla canna del gas, piuttosto che lavorare contro la politica – con cui invece si stringono alleanze e si fanno affari – per la difesa dell’intera categoria.

 

 

 

 

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