Continua l’appuntamento settimanale con l’intervista all’Avv. Salvatore Lucignano. Questa volta ci parlerà del rapporto tra il linguaggio e la politica, prendendo spunto da alcuni termini forti spesso usati.
Salvatore, oggi ci parlerai del rapporto tra il linguaggio e la politica, giusto?
In primo luogo ti ringrazio per questo confronto che continua. Il tema è caldissimo, di stretta attualità, e ha implicazioni sia con la politica forense, che più in generale con il rapporto tra libertà e controllo dell’espressione individuale. Gli strumenti normativi che regolavano la comunicazione attraverso i media prima dell’avvento dei social network mostrano ogni giorno la loro inadeguatezza.
Cosa intendi? Puoi indicare qualche esempio concreto?
Certo. Penso ad esempio al silenzio elettorale, una norma che non ha più senso mantenere in vita, nel momento in cui i tempi di comunicazione degli individui sono diventati continui, o alle evoluzioni dell’ordinamento europeo in materia di messaggi che incitano all’odio, culminati proprio di recente in un codice di condotta, promosso dalla Commissione europea, teso a limitare tali espressioni nella rete. Questi però sono solo alcuni degli aspetti su cui il diritto e la politica devono interrogarsi. Un altro campo in costante aggiornamento è quello che definisce la diffamazione mediante i social network.
Tu ritieni che questi temi siano legati da un filo comune?
Sicuramente penso che la comunicazione interattiva, orizzontale, che fa di ogni individuo un centro di produzione di notizie e di critica, rispetto all’impostazione dei media che mi piace definire, con un personale neologismo “preisocialici”, abbia travolto alcuni punti fermi della società, e abbia bisogno di un grande lavoro dei giuristi a difesa delle libertà di espressione dell’individuo.
Temi che la rete possa essere limitata, magari utilizzando alibi che riguardano la sicurezza e la pace sociale all’interno dei nostri paesi, minacciati dalle nuove manifestazioni di terrorismo internazionale?
E’ un rischio assai concreto. Il dibattito in corso sull’occultamento del male è tutto meno che banale. Sicuramente avrai avuto modo di riflettere sul polverone che ha generato la scelta del “Giornale”, nei giorni scorsi, di allegare una copia del “Mein Kampf” alla propria edizione giornaliera. Ciò ha generato una profonda spaccatura nella società italiana, tra due fazioni: coloro che ritengono che il male vada occultato e chi, al contrario, pensa che esso vada mostrato e sconfitto, senza timori.
Dal tenore delle tue risposte immagino quale possa essere stata la tua opinione in merito… ma comunque, tu cosa ne pensi?
Io ho acquistato la copia del libro e naturalmente lo leggerò. Trovo inaccettabile, sul piano filosofico, politico e giuridico, che il pensiero maligno possa essere escluso dal mondo dello scibile, e credo che questa impostazione sia foriera di conseguenze nefaste, di un possibile ritorno ad un oscurantismo che le democrazie del novecento avevano sostanzialmente superato, liberalizzando e difendendo ogni sorta di espressione, persino quelle chiaramente urticanti, provocatorie o denigratorie.
Per te dunque tutto è lecito? Mi riaggancio al rapporto tra libertà di espressione del singolo e limiti, ad esempio in tema di diffamazione. In questo settore la rete libera appare a molti un contenitore di sfoghi che generano o fomentano violenza. Che ne pensi?
La rete è l’agorà e il vicinato dei nostri tempi, ma è anche il salotto di casa, il ritrovo tra amici e colleghi, il punto di incontro di personalità reali che affidano ad impulsi e piattaforme virtuali la rappresentazione delle proprie idee, opinioni, pulsioni. In questi termini la rete ha ragione di esistere solo se è totalmente libera, fatti salvi i limiti della falsificazione di circostanze e di altri reati, che però non possono essere ascritti al dibattito ed all’opinione. Del resto, chi si lamenta della carica di aggressività della rete finge di ignorare che l’odio non è nato con internet, ma si limita a manifestarsi in rete, esattamente come fa altrove.
Il rischio di questa impostazione è però che la dimensione massificata dei contenitori di personalità virtuali amplifichi a dismisura gli elementi di scontro all’interno della società, contribuendo a generare contrapposizioni sempre più violente, ed in prospettiva preoccupanti. Non ne convieni?
L’antidoto non è la censura, ma la creazione e difesa di una cultura dei diritti. Tutto ciò che si mostra ha diritto ad esistere ed essere conosciuto da chiunque, perché nessuno Stato o ente sovraordinato all’individuo può privarlo di una parte di mondo. A noi è dato il compito di contrastare il male con la cultura del bene, mentre rischiamo di fornirgli un formidabile assist se pensiamo di occultarlo.
Assistiamo però sempre più spesso a confronti che travalicano, con l’uso di espressioni che un tempo sembravano bandite, anche dalla contrapposizione politica. Penso ai profili social di esponenti politici, costantemente presi d’assalto da oppositori che li insultano. Tutto ciò non credi rappresenti una deriva preoccupante?
Il rapporto tra individui e potere è sempre stato conflittuale. Il dileggio del potente è sempre esistito. Affonda le sue radici nell’antichità, si nutre della satira e della commedia, passa dal ruolo del giullare nelle corti medievali e giunge ai giorni nostri, intatto e ricco di una profonda carica di democratizzazione. Mi piace spesso ricordare la motivazione che ha fruttato il Premio Nobel a Dario Fo: “perché, nella tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere e restituisce dignità agli oppressi”. Ecco, non credo che serva aggiungere altro, per spiegare quanto sia importante la libertà dell’espressione, soprattutto di quella scomoda per il potere.
Grazie Salvatore, per questa nuova, piacevole chiacchierata. A presto.
Grazie a te e a “L’altra pagina”. Sarà un piacere discutere ancora con voi.