Torniamo a parlare di Giustizia con l’Avv. Salvatore Lucignano, toccando un punto davvero dolente che in queste settimane sta impazzando per il web (e non solo): le spese “pazze” del CNF.
Caro Salvatore, quotidiani e siti di informazione giuridica hanno ripreso di recente uno dei temi di cui hai parlato ai lettori de “L’altra pagina”. In particolare ho visto che si è dato molto risalto alle “spese pazze” effettuate dal Consiglio Nazionale Forense. Che ne pensi?
Che gli articoli a cui fai riferimento non fanno che riportare le informazioni e le considerazioni che sia personalmente, sia assieme al collega ed amico Michele Iapicca, con la nostra pagina facebook di controinformazione: “INDubbio”, portiamo avanti da tempo.
Cioè?
Il Consiglio Nazionale Forense attualmente in carica è stato autore di tre operazioni, su tutte, davvero scellerate, inqualificabili. In primo luogo la vergognosa attribuzione di veri e propri “stipendi” ai propri componenti, mascherati da gettoni di presenza ed indennità di funzione. Una scelta vergognosa, resa ancor più odiosa dalla circostanza che buona parte dell’avvocatura italiana vive una crisi che per molti colleghi, soprattutto donne e giovani, si chiama fame. C’è poi la vicenda del giornale di propaganda personale del Presidente del Consiglio Nazionale Forense: “Il dubbio”. Altri soldi sottratti illegalmente agli avvocati, per cementare rapporti personali opachi, del tutto estranei ai fini dell’istituzione e perseguiti con la creazione di società e amministratori farlocchi. Completa il quadro, o meglio, il degrado, la vicenda elettorale, di cui vi ho già parlato. Il Consiglio Nazionale Forense non ha adottato un solo regolamento elettorale legale in tutta la sua storia e che questa situazione promani da un organo che dovrebbe rappresentare i difensori della democrazia appare davvero beffardo.
Spiegati meglio. Chiarisci ai nostri lettori cosa intendi. E’ possibile che tutti i sistemi elettorali utilizzati dagli avvocati italiani per eleggere i propri rappresentanti siano antidemocratici?
Caro Giulio, purtroppo non è solo “possibile”, bensì è drammaticamente reale. Per decenni gli avvocati hanno eletto nelle proprie rappresentanze i colleghi sulla base di indicazioni quasi totalitarie. Prima che l’avvocatura di massa travolgesse i riti dell’unanimismo di maniera, dell’acclamazione, dell’indicazione da parte dei baroni dei propri successori, tutto si svolgeva alla buona. Naturalmente tutto questo è inadeguato, se pensiamo a competizioni elettorali che attualmente vedono coinvolti Fori che contano decine di migliaia di iscritti: più elettori di quelli presenti in molti comuni italiani di media grandezza. Comprenderai che pensare di selezionare rappresentanti all’altezza, senza sistemi elettorali adeguati, è mera utopia.
Quali sono gli aspetti che ti portano a ritenere illegittimi i sistemi elettorali che utilizzate?
In una sola frase: l’utilizzo della preferenza multipla privo di quoziente di lista. L’effetto totalitario di questa combinato è devastante: spinge i gruppi egemoni ad accorpare il maggior numero di componenti, garantendo la prevalenza del singolo voto di margine rispetto alle formazioni non organiche, che con questi sistemi, in una ipotetica competizione duale, vedono vanificato anche un eventuale 49% dei consensi raggiunto, a favore di un ipotetico 51%. Ciò perché, all’interno dell’avvocatura italiana, grazie ai sistemi elettorali illegali, chi prende un singolo voto in più… prende tutto.
Chiarissimo. Come si lega però questo vulnus democratico che denunci (e che mi appare francamente incomprensibile, all’interno di una categoria che dovrebbe esportare modelli democratici di partecipazione e confronto), con le spese pazze di cui abbiamo letto in questi giorni?
Purtroppo si tratta di un modello che, per certi versi, definirei “esportabile”. Assenza di democrazia e di confronto, assenza di rappresentazione adeguata delle voci non organiche, genera scadimento della qualità dei rappresentanti. Nel momento in cui i rappresentanti non vengono selezionati con meccanismi che premino il merito, ma solo la fedeltà al padrone, è normale che le scelte di governo della categoria subiscano uno drammatico scadimento qualitativo. Ripeto, la mia professione è un microcosmo molto simile a sistemi sociali più vasti, con l’aggravante di una situazione che, sul piano delle regole, non trova paragoni, nemmeno nelle dittature d’altri tempi o dei nostri tempi, se guardiano ai regimi totalitari ancora esistenti.
Possibile che la politica, le istituzioni, il Ministro della giustizia, a fronte di denunce pubbliche di tale gravità, tengano un atteggiamento che non miri a risolvere le questioni che poni?
Quando abbiamo cominciato questi nostri confronti, di cui ancora ringrazio te e il giornale che li ospita, ti ho detto che avrei illustrato ai vostri elettori un regime, il regime dell’istituzionalizzazione forense. I cittadini italiani non hanno idea di cosa sia davvero la giustizia nel nostro paese. Probabilmente, se ne avessero davvero contezza, la convivenza civile ne sarebbe irrimediabilmente travolta. Noi avvocati viviamo un peso morale che ci opprime, da troppi anni: quello di dover spesso recitare una commedia amara, in un teatro che non ne vuole più sapere di applaudire, mentre in cuor nostro sappiamo di essere protagonisti di una farsa.
Esisterà il modo di portare al centro del dibattito politico gli aspetti di cui ci parli! Come possiamo concorrere a cambiare le cose, a migliorarle? L’informazione libera che ruolo può giocare in questo scenario?
L’informazione verticale, fatta di contenuti calati dai media, non riesce più ad interpretare la sua funzione sociale. Negli ultimi anni ho spesso presentato elementi della mia “teoria dei veri”, una sorta di codificazione semiseria del ruolo dei fatti all’interno della formazione della pubblica opinione. Niente di innovativo o particolarmente originale, per carità, ma ho cercato di mostrare come oggi il vero confine tra l’informare e il disinformare passi inevitabilmente per la formazione di strutture di comunicazione complesse, con centri di controllo incrociato indipendenti tra di loro. In altri termini, solo se il consumatore di notizie ne diviene anche il controllore ed il creatore, è possibile sfuggire alla bulimia falsificante dell’informazione contemporanea.
Che ne sarà di queste “spese pazze”? Come finirà?
Come dovrebbero finire tutte le vicende in cui c’è chi combatte per la giustizia: con il ripristino della legalità.