Facendo seguito al precedente mio articolo,
sulla vicenda del collega Avv. Beniamino MAMMARELLA, del foro di Napoli,
ed al suo testo nominato “la dignità di un avvocato” , di seguito:
“LA DIGNITA’ DI UN AVVOCATO
La dignità non ha prezzo, quando si iniziano a fare piccole concessioni, alla fine perde ogni significato.
Josè Saramago
Quanto vale la dignità di un avvocato?
Alcuni se lo saranno chiesto. Altri, forse, no.
Prometto che Vi ruberò solo pochissimo tempo, sempre che abbiate la curiosità di continuare a leggere.
In ogni caso, penso che la quantificazione del decoro umano e professionale sotto un mero profilo materiale sia cosa alquanto ardua e perniciosa: è comprensibile la difficoltà!
Tuttavia, a tale domanda, un giudice di pace di Napoli, dopo un’istruttoria dibattimentale, ha risposto così: la dignità di un avvocato vale 70 euro!
Ebbene si!
Avete compreso bene: bastano 70 euro e una lettera di scuse per “togliersi lo sfizio” di minacciare e offendere un avvocato, rimanendo, per di più, impuniti!
È questa, o signori avvocati, la somma ritenuta congrua per compensare la minaccia proferita da una “signora” nei confronti di un avvocato, all’interno di un palazzo di Giustizia, nell’espletamento del proprio mandato difensivo.
Siete sconvolti o siete rimasti indifferenti dinanzi a questo episodio?
La risposta sembrerebbe scontata.
Mi sembra di leggere lo sgomento nei vostri occhi. Anche io avrei provato la stessa sensazione. Avrei provato a dimostrare una certa solidarietà al malcapitato avvocato di turno con un gesto o una parola. Insomma, mi sarei prodigato a supportarlo.
Questo avrei fatto io.
Gli avvocati che, invece, erano presenti al momento della condotta offensiva e minatoria hanno preferito non essere coinvolti, allontanandosi di buon grado, tranne una: la mia collega di studio. Una scelta, quella degli altri, che rispetto ma non condivido. Ha prevalso il timore o il disinteresse? Chissà!
Pensavo, però, che, dinanzi ad una tale condotta, il consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli, tempestivamente notiziato mediante istanza protocollata, non rimanesse indifferente e insensibile, come gli altri “colleghi”. All’epoca, ero convinto che mi avrebbe supportato. Ero sicuro che si sarebbe schierato non solo per sostenere un suo “figlio” ma anche per tutelare il suo prestigio. Ho atteso invano, insieme al mio difensore, il suo arrivo. Mi sono sentito orfano per la seconda volta.
Il processo, nonostante questa dèfaillance iniziale, ha seguito il suo corso. Escussione del sottoscritto nonché del proprio testimone, ovvero la collega di studio, e molteplici rinvii chiesti dalla difesa dell’imputata per addivenire ad una bonaria composizione fino ad arrivare all’udienza conclusiva.
E, proprio nel corso di questa udienza, è stata presentata, sempre dalla difesa dell’imputata, una lettera di scuse e una busta contenente 70 euro e, contestualmente, una richiesta di ammissione al gratuito patrocinio. Orbene, non sto qui a rimarcare e criticare la strategia difensiva. Ciò che, invece, profondamente mi ha addolorato è che un avvocato, absit iniura verbis, abbia acconsentito a veicolare una tale richiesta ritenendola, oltretutto, commisurata alla gravità della contestazione. Io non sarei riuscito a parametrare la dignità di un altro avvocato né tantomeno avrei avuto l’ardire di seguire tale iter sapendo che il destinatario dell’offerta fosse un altro avvocato.
Ho provato ad immedesimarmi.
Io non ci sarei riuscito: confesso i miei limiti.
E voi?
Il clou dell’udienza si è raggiunto, poi, quando la parola è stata data alle parti sulla richiesta di offerta risarcitoria.
Le poche parole che riuscì a proferire chi Vi scrive furono le seguenti: ”laddove dovessi accettare questa offerta, mortificherei la dignità dell’uomo e del professionista ma anche la dignità di coloro che, come me, sono avvocati. Mortificherei anche la dignità dei presenti e l’accettazione di questa offerta rappresenterebbe un pericoloso precedente”. Riecheggiano ancora dentro di me queste parole pronunciate in aula gremita di avvocati e praticanti che, anziché sostenere il loro “collega”, hanno dimostrato totale indifferenza. E pensare che quelle parole erano, almeno nelle mie più sincere intenzioni, destinate a sollevare gli animi e gli spiriti di quanti ogni giorno indossano la toga e conoscono cosa vuol dire essere avvocato. Evidentemente, ancora una volta, mi sbagliavo. Mi sarei aspettato un sincero scatto d’orgoglio. E, invece, il nulla!
Un tempo, come mi sussurrava un Avvocato anziano, ci sarebbe stata una reazione corale, una compatta catena di solidarietà intorno al collega. I tempi, forse, sono cambiati, caro Avvocato.
Nel silenzio più totale, l’udienza è proseguita con le discussioni e, dopo una fulminea camera di consiglio, il tanto atteso verdetto: non doversi procedere ex art.129 e 35 dlgs 274/2000 per condotta riparatoria.
Le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice partenopeo hanno ricevuto le dovute e necessarie critiche nelle sedi competenti. Sarebbe inopportuno e indelicato entrare nel merito di “delicatissime questioni procedurali” che hanno trovato, ahimè, albergo in una giurisprudenza sconosciuta perfino agli Ermellini.
Ciò che mi ha rammaricato è stata, in fin dei conti, la condivisione da parte del giudicante del parametro di valutazione offerto, all’udienza conclusiva, da un nostro “collega”.
Sarei ipocrita se celassi il mio disappunto.
Tuttavia, ciò che avete letto non rappresenta lo sfogo di un avvocato insoddisfatto e rancoroso bensì un’amara constatazione di quanto valga, al giorno d’oggi, la dignità di un avvocato.
In un epoca storica nella quale l’onore e il prestigio della toga ogni giorno vengono quotidianamente e indistintamente vilipesi da coloro che salgono sul palco e da coloro che affollano il proscenio, l’episodio verificatosi rappresenta non solo lo svilimento della funzione ma anche, e soprattutto, la riprova di quanto fosse evanescente quel trait d’union tra coloro che dovrebbero combattere uniti per l’affermazione del diritto e della verità. L’episodio che, oggi, ha coinvolto il sottoscritto, domani, con ogni probabilità, potrà colpire un altro avvocato. La recidiva è dietro l’angolo!
Mi dispiacerebbe che intorno al malcapitato, come al sottoscritto, si venisse a creare quel deserto dove la solidarietà e lo spirito di appartenenza fossero dei semplici miraggi.
Spero di non avervi annoiato.
avv. Beniamino Mammarella”
riceviamo, previa espressa e specifica autorizzazione in tal senso,
copia della richiesta del collega Avv. Beniamino MAMMARELLA,
debitamente “omissata” con bianchetto negli elementi identificativi,
anche per per tutela della privacy, che in data 17.03.2015, protocollava espressa richiesta;
“quale membro dell’organo professionale”, finalizzata all’ “esercizio dell’azione civile in sede penale nel processo a carico della sig.ra….. affinchè la classe si stringa attorno ad un suo membro, tutelando, in primis, se stessa e, parimenti, rafforzando le ragioni di chi vestendo la toga si sente ancora onorato”.
Al collega Beniamino, anche a nome di N.A.D. , esprimo tutta la mia personale solidarietà per la vicenda accaduta,
potendo solo essergli vicino nel dar voce e forza alla tutela dei colleghi tutti, in ogni sede, giudiziaria e non.