L’Avv. Salvatore Lucignano, trascorso l’estate, ritorna ad affrontare i temi caldi della politica forense italiana, per il pubblico dell’Altra Pagina.
Un gradito ospite che riesce sempre a cogliere il punto della situazioni, senza peli sulla lingua e senza alcuna remora.
Salvatore, in autunno gli italiani voteranno sulla riforma della Costituzione. L’avvocatura italiana come si pone rispetto al tema?
In ordine sparso, ma con posizioni che a mio avviso riescono ad essere sbagliate, pur nella frammentazione che le contraddistingue. Mi spiego: io credo che l’avvocatura non debba e non possa ambire a rappresentare in modo unitario le opinioni politiche dei propri appartenenti. Non solo non lo trovo auspicabile e possibile, ma credo sia addirittura aberrante. Gli avvocati italiani voteranno secondo i propri convincimenti, come è giusto. Ci saranno avvocati favorevoli e contrari, e nessuno può ritenere che ci sia un Organo o un soggetto, istituzionale, politico, associativo, che possa imporre una posizione su un tema che riguarda la sfera politica e personale di ciascun avvocato italiano. Trovo quindi dannose, e per certi versi ridicole, le posizioni di quei soggetti che, all’interno dell’avvocatura, spingono per posizioni collettive, in un senso o nell’altro.
Posso chiederti allora cosa pensi della riforma della Costituzione, sul piano personale?
Credo che il superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei parlamentari siano gli elementi politicamente più importanti della riforma e questo mi spinge ad un giudizio complessivamente favorevole sulla proposta, che è articolata e che presenta molte luci e molte ombre, come qualsiasi assetto che sia il frutto di compromessi laboriosi, figli di nodi irrisolti e difficilmente risolvibili.
Credi si sarebbe potuto fare di meglio?
Credo che la domanda contenga in sé gli elementi che rendono difficile dare una risposta funzionale. Un paese come il nostro, immerso in un mare di contraddizioni, non muta ed evolve in modo lineare, ma attraverso processi che sono quasi impossibili da realizzare senza che si portino dentro elementi negativi. Per certi versi è la contemporaneità, non solo come categoria politica, che impedisce l’eliminazione di queste ombre, quindi non ritengo che il punto sia se si potesse fare di meglio o fare altro, poiché oggi siamo chiamati a scegliere tra l’esistente e quello che si è riusciti a fare. L’altro, il meglio, appartengono alla sfera dell’immaginario o peggio, del “benaltrismo”, e troppo spesso finiscono con l’inquinare il giudizio sulla realtà.
Eppure il paese sembra aver bisogno di andare avanti, di superare le criticità che hanno determinato una crisi innegabile che ci attanaglia. La Costituzione è il documento fondamentale su cui poggia il patto civile tra i cittadini. Non credi che in questo settore occorra puntare solo e sempre all’eccellenza?
Tu credi davvero che la Costituzione oggi rivesta il ruolo che aveva nel 1948? Io credo che la società contemporanea sia così diversa da quella emersa dal dopoguerra da necessitare di un’elaborazione in grado di farci superare anche questi cosiddetti punti fermi. Nel merito, anche la Costituzione italiana sconta, sul piano giuridico e politico, un gap evidente con i bisogni della nostra società: mancanza di adeguata regolamentazione del potere economico e mediatico, incapacità di regolare il rapporto tra passato e futuro, inadeguatezza rispetto ai fenomeni della globalizzazione, dell’economia dello sharing, del ruolo della massa sulla formazione delle rappresentanze e del consenso. Con tutto il rispetto per la nostra Costituzione, io credo che si tratti di un documento che dia il meglio di sé, sul piano giuridico e politico, solo se confrontato con i bisogni a cui ha offerto risposte nell’epoca in cui è nata. Se parliamo dell’oggi, si tratta di un fondamento datato, che andrebbe ripensato in chiave futuristica.
Hai espresso molte critiche alla modernità della nostra Carta. Che intendi di preciso per “incapacità di regolare il rapporto tra passato e futuro”?
Uno degli elementi più datati garantiti dalla nostra Costituzione riguarda il concetto di “diritti quesiti”. E’ ormai evidente che il patto intergenerazionale che deve tenere unita la società italiana si è drammaticamente rotto, a causa dell’atteggiamento predatorio delle generazioni che hanno guidato e vissuto il paese, dagli anni 70 ai nostri giorni. I nostri padri hanno avuto e preso, scaricando il conto sulle nostre spalle, e mascherando i privilegi di cui hanno abusato dietro il paravento dell’intangibilità dei “diritti quesiti”. E’ un gigantesco falso storico, che mostra il suo volto più nefando in alcuni settori, più che in altri: penso ad esempio al sistema pensionistico, ma che in realtà permea di ingiustizia ed iniquità l’intera vita del paese. Tasse, vincoli, lavoro che manca, opportunità perdute, ambiente devastato. Su tutti questi aspetti la Costituzione tutela i privilegi dei padri, ed ignora i diritti e le aspettative dei figli.
Cosa suggeriresti di fare per riequilibrare la situazione, posto che il problema entrasse effettivamente nell’agenda politica nazionale? Quale credi possa essere il contributo di un avvocato o dell’avvocatura su questo aspetto?
Un primo passo sarebbe proprio quello di costituzionalizzare il futuro, ovvero di impedire che i privilegi goduti nell’oggi presentino il conto alle future generazioni. L’idea che il futuro sia un elemento a disposizione di chi vive nel presente è profondamente antigiuridica. Su questo aspetto un’avvocatura credibile come categoria politica, potrebbe dare un contributo decisivo, sul piano culturale. In secondo luogo, riscrivere il patto sociale e costituzionale tra padri e figli, senza considerare i privilegi abusati come elementi intangibili, ma rimettendo in discussione l’intero assetto sociale del paese. I giovani italiani vivono disagi, vessazioni ed umiliazioni che sono francamente intollerabili, se paragonati ai privilegi ed agli abusi di cui hanno goduto i cittadini che hanno vissuto l’epoca della “Milano da bere”, tanto per fare un esempio.
Credi che questa evoluzione sia possibile nei prossimi anni?
Sicuramente il tema sta diventando ineludibile. Nessuno può seriamente credere che un italiano che lavori con contratti precari, salari da fame e assenza di tutele e di certezze sul proprio futuro, possa riconoscersi nei valori costituzionali decantati dai propri nonni o dai propri bisnonni. E’ una visione miope, sul piano politico, ed inaccettabile su quello giuridico. Un paese che non offre speranze ed opportunità ai suoi giovani non ha alcun futuro, muore di retorica, ed in questo senso la riforma costituzionale da cui è partita la nostra intervista non riesce ad incidere, pur se mina alcuni capisaldi di quella pletora di “pesi e contrappesi” che contribuisce a rendere ingovernabile e statico il nostro paese.
Tu però hai parlato di testo con luci ed ombre, di compromesso inevitabile. Sorge il dubbio che un progetto capace di sciogliere con maggiore efficacia i nodi che hai indicato necessitasse di maggiore coesione, unità, e forse di un diverso approccio da parte dell’attuale governo: non credi?
E’ senz’altro possibile, ma a mio parere non è così. Uno dei paradigmi dell’immobilismo delle società contemporanee di massa è l’enorme difficoltà dei sistemi di potere a limitare e riformare se stessi. La partitocrazia italiana in questo non è differente, ne abbiamo spesso discusso anche a proposito dell’avvocatura. Uno spirito costituente non si improvvisa, né si può ignorare che ridiscutere gli assetti e gli equilibri che governano un grande paese come l’Italia, comporta inevitabilmente che qualcuno ci guadagni e qualcuno ci perda. Tu vedi un parlamento che smania dalla voglia di ridurre la sua bulimica inefficienza? Onestamente a me pare proprio che non sia così. Ecco perché io credo che lo sforzo di questo governo per dare una scossa sia stato generoso, e non imputo al premier le responsabilità per un risultato che vede nelle resistenze dello status quo un elemento che ha creato e che creerà enormi ostacoli ad ogni tentativo di evoluzione positiva.
In definitiva, questa riforma verrà approvata o meno dai cittadini? Quale pensi che sarà l’esito del referendum d’autunno?
Non posso esprimermi, credo che si tratti di un esito incerto e non pronosticabile. Di sicuro credo che, in qualsiasi modo termini questa consultazione, l’Italia non possa fare a meno di un cambiamento profondo nella propria struttura di governo. La vetocrazia non è un mito dell’efficientismo: esiste e provoca danni enormi alla nostra società. La contemporaneità esige scelte rapide, decise, che non vengano continuamente riviste, bloccate o ridiscusse per soddisfare le brame di ogni piccolo gruppo di pressione. Se questa riforma sia o meno il primo passo per superare questo stato di cose lo diranno gli italiani: quello che penso, di cui sono certo, è che, con questa o con diverse riforme, se non si supererà l’immobilismo e la palude in cui l’Italia è immersa da troppo tempo, sarà vano attendersi un’uscita dalla crisi che stiamo vivendo in questi anni.