L’epica narrazione delle sofferenze degli inerti non ci ha mai conquistati. Nuova Avvocatura Democratica raccoglie avvocati dis-integrati, nel senso più lirico del termine. Non siamo affatto integrati, non condividiamo i riti, la retorica, i valori, le sceneggiate, gli incontri, i convegni, in cui si profonde il regime. Non condividiamo nemmeno una rappresentazione vittimistica della propria condizione, realizzata e riproposta, giorno dopo giorno, da quelle decine di migliaia di avvocati italiani che lamentano una situazione di inedia, dedicandosi al contempo alle attività più futili, disdegnando ogni forma di impegno politico, ignorando ciò che accade all’interno della propria categoria e lasciando mano libera a chi è causa dei nostri mali. Non di rado questi battenti sono tra i più fervidi sostenitori dei propri aguzzini, che venerano e sostengono in pubblico, disprezzandone le qualità in privato.
E’ Natale, tempo di festicciole istituzionali, di annunci roboanti che parlano di canti e balli. E’ uno dei momenti dell’anno in cui gli avvocati impegnati in politica forense esprimono le massime vette del proprio eroico impegno: organizzare festini, serate danzanti, e propagandarle come momenti di altissima elevazione dell’animo umano. Questa però è solo la prima parte della fatica. La seconda parte consiste nel fare le foto ricordo delle serate, trascorse a sondare l’opportunità di ricevere appoggi in vista delle prossime elezioni, allorquando l’impegno e la fatica dei nostri eroi, veri pozzi di scienza, andrà ricompensata con un posto nelle liste dei padroni.
Disprezzo. Nessuna altra parola è adeguata a descrivere questa gente. Infinito disprezzo per tutti quegli avvocati, e sono centinaia, che assumono cariche rappresentative, nonostante non sappiano né leggere e né scrivere, nonostante nessuno li abbia mai sentiti pronunciare un discorso, nonostante non siano in grado di produrre un solo documento che analizzi le questioni della professione forense. Una mediocrità che accomuna tutti, eletti ed elettori, associazioni, istituzioni, semplici spettatori.
In questo mare di nullità che sostengono se stesse, forti dell’essere una schiacciante maggioranza e dunque rese ancora più complici dallo strapotere del vizio e della inettitudine, ambire a rappresentare degnamente l’avvocatura è un atto di per sé eversivo. Pensare che i problemi della professione non vadano sbandierati presso la marmaglia, per carpirne il voto, ma vadano vissuti ed incarnati, sulla propria pelle, genera il disprezzo degli inetti, i padroni delle feste natalizie.
Nuova Avvocatura Democratica, nei direttivi svolti in questi giorni, ha deciso di infischiarsene dell’opinione degli inetti, nonostante siano la quasi totalità dell’uditorio politico presente all’interno dell’avvocatura italiana. Abbiamo scelto di digiunare, per rappresentare e vivere la fame dei nostri colleghi più deboli, e mostrare lo stridente contrasto che separa la gravissima crisi della professione forense in Italia dalle generose ed arbitrarie indennità che si sono concessi in questi anni i rappresentanti della plebe. Non abbiamo intenzione di ricattare nessuno, non chiediamo nulla alle istituzioni forensi, in cambio del nostro gesto. Non sperino i ciambellani del regime di poter raccontare storie di martiri. Non ci sentiamo eroi, non consentiremo la spettacolarizzazione della nostra iniziativa. Sensibilizzeremo i colleghi e la cittadinanza sulla situazione di grave corruzione delle istituzioni forensi italiane, favorita dalla vergognosa connivenza dell’associazionismo forense e dall’ignavia colpevole dell’intera categoria.
Noi di NAD esprimiamo la nostra orgogliosa diversità, la nostra libertà intellettuale, attraverso un’opera quotidiana di dibattito, crescita collettiva, confronto, che non temono paragoni con ciò che all’interno dell’avvocatura italiana evoca valori di cartapesta. Siamo pronti, consapevoli della difficoltà e dei sacrifici che ci attendono, ma decisi a dare un nostro contributo al cambiamento di questa professione. Il nostro Natale non sarà all’insegna delle festicciole di regime. Lasciamo ad altri i selfie e le ammucchiate di vacuità. Noi vogliamo parlare dei problemi dell’avvocatura, di una professione che muore, delle responsabilità diffuse per cui essa muore e vogliamo rappresentare, con il nostro digiuno, la sofferenza di chi non riesce, per colpa o per sfortuna, ad incanalare le proprie possibilità di impegno, politico e civile, all’interno di un’azione che possa rovesciare la cupola dell’istituzionalizzazione forense.