In passato li chiamavano fattoidi, io preferisco chiamarla “teoria dei veri”, anche se ho già chiarito di non aver inventato nulla in merito, salvo forse un modo personale di presentare concetti già noti. Ennesimo “esipodio”: i ricercatori di click su siti di diffusione di contenuti forensi pubblicano l’ennesimo appello all’orgoglio della categoria. Quel cattivone che fa il Ministro della Giustizia in carica, dal 2017, imporrà atti “sintetici e chiari”. Bene… la notizia si diffonde con la rapidità del fulmine tra i difensori della professione forense e cosa accade, dopo poche ore? Semplice: il finimondo.
Orde di legali, feriti nell’orgoglio, si lanciano contro il Ministro della giustizia, invocando azioni draconiane, richiamando alle armi tutto il protocollo delle battenti in salsa forense. Nelle urla gutturali degli avvocati d’assalto e da tastiera si può ammirare l’intero repertorio: dal più classico dei classici “basta, è ora di fare davvero qualcosa”, invocato da chi non ha mai fatto niente, ai più raffinati “questo Ministro non è nemmeno laureato e pretende di dirci come dobbiamo scrivere i nostri atti”. Non mancano divagazioni sullo stato penoso della professione, sul declino, sul difficile momento che stanno vivendo le mezze stagioni. C’è davvero tutto, meno che un’analisi politica degna di tal nome.
Nessuno vuole ricordare che il processo che ha reso l’avvocatura una professione non più libera e liberale, bensì sottoposta a una serie di vincoli tesa ad assoggettarne l’esercizio ai desiderata della mala politica è avvenuto sotto l’egida attenta del Consiglio Nazionale Forense, che ha utilizzato i colleghi come merce di scambio, in un mercato che solo chi non vuole vedere non vede: “Tu governo ci consenti di continuare a comandare nel sistema ordinistico, ci concedi di stare nei Consigli dell’Ordine per tempi infiniti, ci concedi indennità di carica e mano libera sui protocolli con i formatori, gli “specializzatori” e tutti gli altri soggetti che devono fare soldi, usando la plebe forense come cliente, e noi ti concediamo di ridurre la professione a mera esecuzione di un compitino, che non ostacoli il disegno di normalizzazione dell’azione dell’avvocatura“. Questo è accaduto e sta accadendo, nulla di diverso.
I protocolli che mirano a standardizzare l’espressione degli avvocati in giudizio non sono pertanto da considerarsi come il frutto di una politica ostile all’avvocatura, ma sono uno degli anelli nuziali che il regime dell’istituzionalizzazione forense ha concesso alla politica, in cambio della possibilità di comandare la massa inerte dell’avvocatura a proprio piacimento.
Far credere agli avvocati che a venderli non siano le istituzioni forensi, ma la politica, è la tipica mossa Kansas City, di cui ho già parlato in molte occasioni, incluso il Congresso di Rimini. Loro guardano a destra… e il Consiglio Nazionale Forense… li frega a sinistra.