Leggo della consegna dell’Ambrogino d’oro al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano e la mia mente deviata, poco incline a guardare ai premi senza un certo atteggiamento di sociopatica diffidenza, comincia a cercare notizie sulla vicenda. L’onorificenza, che a Milano rappresenta il massimo encomio cittadino, sarebbe stata conferita all’Ordine milanese per il contributo fornito alla giustizia. Fin qui… nulla da dire. Si tratta sicuramente di attività meritevoli di encomio, che danno lustro all’avvocatura. Approfondisco e leggo che il Presidente dell’Ordine di Milano, il collega Remo Danovi, avrebbe dichiarato:
” Il nostro obiettivo è una giustizia senza processo. Il tema del congresso di Rimini. Abbiamo già accordi fra le parti che hanno valore di giudicato. Bisogna tendere una giurisdizione forense alternativa. Che snellisca le procedure e agevoli il cittadino. È questo il nostro futuro.”
A quel punto comincia a verificarsi un certo corto circuito nel mio piccolo encefalo disturbato. Innanzitutto, quando l’anziano leader degli avvocati milanesi parla di “nostro”, a chi si riferisce? All’avvocatura italiana? A quella milanese? Al Consiglio dell’Ordine? Sarebbe interessante scoprirlo. In secondo luogo, ma davvero il nostro Remo dichiara che il tema del Congresso di Rimini è stato la “giustizia senza processo”? A me non risulta. A me risulta (ma forse io e Remo abbiamo avuto diverse percezioni del Congresso di Rimini) che il XXXIII Congresso Nazionale Forense sia stato indetto al solo scopo di cestinare la possibilità di una rappresentanza politica dell’avvocatura che andasse oltre la dimensione istituzionale e ordinistica, sostituendola con un accordo tra esponenti ed espressioni degli Ordini degli Avvocati. Tutto il resto a Rimini non c’era e se c’era… non se n’è accorto proprio nessuno, escluso forse il Presidente Danovi.
Incuriosito, vago nel web, e cerco notizie sul Presidente. Tutti ne parlano come di una brava persona ma ormai, quando mi dicono che un avvocato che si occupa di politica forense è “una brava persona” (cit.), mi sovvengono costantemente alla mente le parole del mitologico Ciro Sasso: “ma perché scusa, noi non siamo brave persone?”
Ergo, pur non volendo assolutamente mettere in dubbio che l’amico Remo sia una brava persona, sommo, addiziono, collaziono e relaziono e comincio a farmi qualche domanda. Leggo che il collega Danovi è nato il 6 febbraio 1939. E’ dunque un acquario ed è nato nello stesso giorno in cui è nata la mia mamma, il 6 febbraio, anche se la mia mamma è del 1951. Il Presidente ha dunque 77 anni e mezzo. A questo punto mi vengono in mente le parole di Jack Beauregard, ne “Il mio nome è Nessuno”: “il tempo non forma dei sapienti, ma solo dei vecchi”. Mi chiedo dunque se l’idea che l’avvocatura o una sua parte, per quanto “rispettabile”, persegua una “giustizia senza processo” sia l’evoluzione del pensiero di un sapiente.
Sicuramente la mia idea della giustizia non prevede l’assenza del processo. Al contrario, il processo di puro diritto resta secondo me un rimedio fondamentale perché i cittadini possano ottenere giustizia e la privatizzazione dei rimedi giurisdizionali, a maggior ragione se dettata da una ritirata dello Stato dalla possibilità di garantire ai cittadini l’effettiva tutela dei propri diritti ed interessi, a mio sommesso parere non ha nulla di eroico.
Cincischio con le mie dita, uno sguardo a mia figlia che dorme, e qualche punto interrogativo. Si, perché… se non ricordo male, a Rimini c’era un punto interrogativo. Il titolo della sceMografia organizzata dagli Ordini era “Giustizia Senza Processo?” Si, ora ricordo. Io sono del 4 maggio 1978, sono meno anziano del bravissimo e rispettabilissimo collega Danovi. C’era un punto interrogativo. Si, si. C’era.
Chi lo ha tolto? Gli avvocati italiani? E dove? Quando? Ma soprattutto… cui prodest?