La legge professionale forense è stata un totale fallimento. L’unico pregio che i suoi difensori riescono a riconoscerle, a distanza di quattro anni dalla sua nefasta approvazione, resta l’aver dotato l’avvocatura di una legge che ne definisse le prerogative. Davvero troppo poco per passare sopra alla sciatteria, all’illegittimità e alle inefficienze di una legge scritta in modo indegno. Al disastro normativo si sono aggiunte le molteplici violazioni commesse dal regime dell’istituzionalizzazione forense, che hanno portato l’avvocatura che intendeva rispettare le norme ad una serie di ricorsi contro le decisioni del “sistema”, che hanno gravemente compromesso la credibilità del Consiglio Nazionale Forense e dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati.
Sul piano strettamente politico, laddove le istituzioni forensi in questi anni fossero state composte da giuristi e non da affaristi privi di moralità e cultura, le soluzioni, di fronte alle denunce dell’avvocatura libera, si sarebbero risolte con procedimenti di confronto interno alla categoria, cercando sintesi che derivassero dalla contrapposizione di tesi, gestite con autorevolezza da un giudice terzo. Purtroppo le istituzioni forensi in Italia continuano a giocare il ruolo di arbitro e di attore della partita politica, quindi i tentativi dell’avvocatura libera di sottoporre al regime le storture e le violazioni di cui si è reso protagonista in questi anni, sono sempre naufragati.
Mai, in nessun momento, il Consiglio Nazionale Forense ha avuto un atteggiamento rispettoso verso gli avvocati liberi, non asserviti al suo straripante potere. L’emblema di questa visione padronale, affaristica, avida ed in definitiva infantile mostrata dal CNF si ritrova nella domanda postuma di tale Mascherin Andrea, di professione Presidente del CNF, il quale… DOPO essersi attribuito uno stipendio di 90 mila euro all’anno, pagato dai soldi degli avvocati italiani, chiede ad una platea di vili vassalli se ci siano contrari. Contrari… ad una scelta già fatta. Questa è la cifra del “confronto” che le istituzioni forensi italiane hanno offerto agli avvocati estranei al “sistema”. “O sei con me o sei fuori dall’avvocatura”.
I ricorsi contro gli abusi e le illegittimità compiute dal “sistema” sono stati dunque la sola risposta possibile. Lungi dall’essere una scelta compiuta a cuor leggero, essa è stata il frutto dell’atteggiamento di chiusura e di superbia mostrato dal regime, coadiuvato dalle associazioni asservite e complici. Il paradosso dell’uovo e della gallina dunque, in questo caso, vede una sua rivisitazione in salsa forense. Non siamo noi, avvocati liberi e rispettosi delle leggi, a divertirci a denunciare gli abusi e le illegalità di cui è protagonista la cupola delle istituzioni forensi. Sono piuttosto i capi mandamento che sorreggono la cupola a costringerci ai ricorsi.