I fiancheggiatori del regime dell’istituzionalizzazione forense accusano gli oppositori di non mobilitare masse di avvocati a sostegno delle proprie tesi. E’ solo uno dei paradossi della politica forense italiana, un luogo in cui chi non mobilita nemmeno se stesso accusa altri di non mobilitare soggetti che non hanno alcuna voglia di mobilitarsi. Si assiste così a forme di dibattito surreale, in cui gli inerti additano gli avvocati impegnati, puntando il dito contro la scarsità di risultati, mentre le istituzioni forensi, che avrebbero il compito primario di coinvolgere gli inerti, vengono ritenute estranee alla situazione. Ovviamente completa il quadro l’assoluzione collettiva degli inerti, che non vengono mai considerati “colpevoli” della loro inerzia, ma vittime di una politica forense che non riesce a coinvolgerli.
E’ una tesi che non mi ha mai appassionato o convinto. Nel corso degli ultimi tre anni ho partecipato e dato impulso a molteplici iniziative politiche volte al superamento del regime dell’istituzionalizzazione forense. Molte battaglie sono state ampiamente illustrate, hanno avuto risonanza nazionale, sono divenute oggetto di confronti in cui gli elementi del contendere si sono sviscerati. Ebbene, il numero di avvocati coinvolti nella politica forense è restato comunque straordinariamente basso, indice di un distacco e disinteresse che non può essere addossato come colpa a coloro che si spendono perché vi sia ampia partecipazione. I riti di assoluzione delle masse inerti contengono un elemento psicologico e politico inaccettabile: l’idea malsana che chi non si impegna non lo faccia perché non “stimolato”. Per un avvocato questo teorema è doppiamente inaccettabile, se si pensa che l’avvocato dovrebbe (il condizionale è d’obbligo), essere un giurista ed interessarsi alla sua professione e alla giustizia, dedicando tempo ed energie intellettuali a questi temi.
Più volte, nel corso di questi anni, ho stigmatizzato – e non sono certo il solo ad averlo fatto – il distacco di gran parte dell’avvocatura dalle vicende che riguardano la nostra professione. Circa l’85% degli iscritti all’Ordine non hanno espresso un voto per i delegati per il Congresso Nazionale di Rimini. Un dato allarmante, per certi versi, ma di certo non attribuibile a chi combatte contro le istituzioni forensi italiane. Nella logica di un’analisi politica seria, il disinteresse dovrebbe essere invece addossato proprio alle istituzioni, perché di certo sono le istituzioni ad avere in mano le leve del potere e dunque, se non vi è riconoscimento della loro necessità, una riflessione sul tema sarebbe doverosa, in primo luogo per le istituzioni.
Ciò però non avviene. E perché? Pochi si fanno questa domanda. Le istituzioni forensi non mancano mai di fotografare lo status quo come il risultato di una “partecipazione democratica” ai momenti di scelta interni alla categoria forense. Quasi nessuno ritiene che percentuali di votanti oscillanti tra il 10 ed il 20 % degli aventi diritto indichino una carenza di rappresentatività. Si contano i voti, spesso figli delle clientele, e si glissa su coloro che non votano, oppure si cerca di assoldare gente che attribuisca questo “non voto” a chi combatte contro la corruzione interna all’avvocatura italiana.
Questo atteggiamento dovrebbe dare indicazioni sul vero obiettivo del regime dell’istituzionalizzazione forense: non già il coinvolgimento e la rappresentatività delle istituzioni, ma la gestione totale del potere. Ai padrini che comandano l’avvocatura italiana, grazie a corruzione, clientele e voto di scambio, non importa affatto che l’85% degli avvocati italiani si disinteressi di politica forense. Allo stesso tempo, a quell’85% di avvocati italiani non interessa affatto che la loro inerzia permetta alle istituzioni forensi di comportarsi come centri autoreferenziali di potere.
La colpa di tutto questo, che andrebbe ripartita tra istituzioni forensi ed inerti, viene quindi “trasferita” su chi combatte la situazione. E’ un processo surreale e incomprensibile. Intendiamoci, anche chi si oppone deve fare autocritica e cercare nuove strade per aumentare il coinvolgimento degli scontenti e di coloro che vogliono abbattere il regime illegale e padronale che comanda l’avvocatura italiana… ma ritenere che la responsabilità della lentezza dei processi in questa lotta sia colpa di chi lotta… è francamente inaccettabile.