Parlare dell’operato delle istituzioni forensi italiane è una sfida zen. In data 30 novembre 2016, in quel di Rimini…ovvero Roma, si è riunito un Organo inesistente, ovvero l’Ufficio di Presidenza del Congresso di Rimini, per decidere di quattro reclami, proposti da avvocati napoletani alla segreteria del Consiglio dell’Ordine di Napoli. Probabilmente, i fantasmi di “Cantaroville” (un milieu tra il numero 27 della smorfia napoletana e una delle tante creature partorite dal genio di Oscar Wilde), avranno pensato “ma si, diamo l’idea di essere giuristi e proviamo a giustificare la nostra esistenza in vita richiamando una sentenza della Corte Costituzionale. Certo, gli avvocati degni di tal nome sanno che noi di diritto non ne capiamo nulla, ma forse riusciremo ad impressionare le menti labili e ad apparire credibili”.
Ecco dunque che le menti mostruose riunite a Rimini… ovvero Roma, dichiarano la necessità e l’urgenza dei propri adempimenti, giustificandole non con una norma che ne permettesse la prorogatio… ma bensì con il richiamo alla sentenza n. 158/2015 della Corte Costituzionale. Confesso che già ad un primo, distratto sguardo al verbale pubblicato dai nostri eroi, un sorriso di scherno era balenato sul mio viso. Conosco il valore dei Presidenti dei Consigli dell’Ordine degli avvocati italiani e so di cosa siano in-capaci. Ovviamente, come farebbe un avvocato, persino il componente di un Ufficio Fantasma, con sede in Via dei matti, numero zero, ho studiato la sentenza che giustificherebbe l’azione dei probi viri chiamati a decidere delle sorti del nascente Organismo Congressuale Fantoccio. Ebbene, si immagini un avvocato vero il mio sconcerto quando ho verificato che detta sentenza è assolutamente inconferente e totalmente estranea al caso in oggetto.
Certo, la prima reazione è stata la solita, quella che mi pervade da tre anni: scrivere un’analisi giuridicamente corretta ed insultare le istituzioni forensi italiane, denunciandone per la millesima volta l’inettitudine, l’ignoranza, l’assoluta inadeguatezza neurale, culturale e giuridica dei propri componenti. Poi in me sono prevalsi sentimenti meno avidi. Mi sono detto che questi uomini sono affetti da ogni morbo noto alla farmacopea moderna e dunque, che non possiedano il ginocchio della lavandaia, è circostanza che si può sopportare. Non ho però rinunciato ad offrire agli avvocati italiani di buona volontà (trecento individui in tutto?), alcuni elementi che mostrano come l’Ufficio fantasma riunito a Cantaroville non potesse decidere un bel niente e non abbia citato un solo straccio di norma che ne giustifichi la spettrale presenza.
Partiamo dunque dall’istituto che sarebbe coinvolto nella vicenda, ovvero quello della prorogatio. Ricordiamo ai componenti dell’Ufficio Spectre che la prorogatio, perché possa verificarsi, deve essere prevista da una norma. La domanda preliminare che dunque i geni riuniti a Rimini/Roma/Cantaroville dovevano porsi era la seguente: quale norma ci consente di invocare la prorogatio della Spectre? La risposta sarebbe stata: “nessuna”. Laddove coloro chiamati a decidere fossero stati laureati in giurisprudenza e non invece dei passanti, investiti per caso di responsabilità che un tempo sarebbero toccate a giuristi di sommo ingegno ed oggi invece affidiamo a barbieri e salumieri, travestiti da avvocati, l’Ufficio Spectre avrebbe scritto una letterina al Sig. Andrea Mascherin, capo dei barbieri, del seguente tenore:
“Egregio Presidente, sappiamo che tu e il diritto vivete un dissidio che dura da tutta la vita, ma c’è quel napoletano, quel Salvatore Lucignano… ecco, quello il diritto lo conosce come le sue tasche, non possiamo continuare a farci definire “schegge di maioliche da bagno” in eterno, ti prego, considera che non esiste norma che disponga la prorogatio dell’Ufficio di Presidenza di Rimini e valuta la situazione“.
E invece no. Sprezzanti del pericolo, immuni ad ogni considerazione circa le uova marce che si sarebbero tirati addosso, i nostri eroi, marinai diretti in ogni porto, hanno assunto di essere in prorogatio, dicendo che la Corte Costituzionale, con la sent. n. 158/2015, gli consentirebbe di operare. Orbene, detta sentenza definisce l’operatività possibile di un Consiglio Regionale le cui norme statutarie prevedono possibilità di “prorogatio” sino alla nomina dei nuovi componenti eletti. Le considerazioni che la Consulta ha svolto, sulla portata di tali poteri, connessi allo status di Consiglio “prorogato”, derivano dunque dall’analisi di una norma, segnatamente l’art. 86, comma 3, dello Statuto regionale della Regione Abruzzo. Persino Andrea Mascherin (no, non esageriamo…lui no) potrebbe capire che senza una norma che preveda la prorogatio, nessuna interpretazione sarebbe possibile, alla luce dei precetti della nostra Costituzione. Peraltro, detta sentenza ha accolto le ragioni dei ricorrenti, accertando che gli atti impugnati, ed oggetto di analisi da parte della Corte Costituzionale, effettivamente esondavano dai poteri connessi al regime di prorogatio del Consiglio Regionale scaduto.
E’ dunque evidente che il caso dell’Ufficio Spectre non può valutarsi alla luce della Sent. n. 158/2015, per assenza di una norma che preveda la sua prorogatio, come è evidente che, laddove tale norma fosse stata indicata dai giuristi riuniti a Rimini/Roma, la pronuncia richiamata da questi luminari non avrebbe in alcun modo fondato la pretesa e presunta legittimazione dell’Organo scaduto a giudicare dei reclami presentati dagli avvocati napoletani.
Ovviamente la “sentenza” dell’Ufficio Spectre contiene almeno un’altra mezza dozzina di strafalcioni giuridici, rilevabili “ictu oculi” da un diplomato di media cultura, ma questi… cari i miei piccoli lettori, ve li mostrerò nelle prossime puntate. Voglio invece terminare questo mio breve contributo con due domande:
- Chi è Luigi Fasano?
- Qual è il titolo di questo libro? L’enigma dell’OCF ed altri indovinelli liquidi.
Sudario.